Perché il PD ha vinto

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di Andrea Guazzarotti

Il Partito democratico nelle elezioni regionali di Lazio e Lombardia del 19 e 20 febbraio scorso non è riuscito a conquistare né la maggioranza dei Consigli regionali né le Presidenze, neppure in Lazio, ove pure aveva un accordo di coalizione con i 5Stelle. Il centro-destra (rectius, destra-centro) ha vinto, ma sostanzialmente mantenendo i voti ottenuti alle precedenti elezioni regionali, senza rosicchiare alcunché a sinistra. Semplicemente gli elettori avversi al centro-destra (molti dei quali erano andati a votare per il PD alle precedenti regionali di 5 anni fa) non hanno sentito la necessità di andare a votare. Si ripete, con proporzioni numeriche più gravi, l’astensionismo degli elettori di centro-sinistra già verificatosi nelle elezioni politiche di fine settembre 2022.

Non è una sconfitta, per il PD: dal punto di vista del suo progetto di spoliticizzazione e de-ideologizzazione della società e, soprattutto, dell’economia nazionali, il PD sta raggiungendo il suo obiettivo. Al popolo della sinistra è stato detto per anni che il livello statale è inadeguato a governare i problemi sociali ed economici che affliggono i singoli e le famiglie, i quali possono affrontarsi efficacemente solo a livello transnazionale, meglio ancora, di governo globale. Se è inadeguato il livello statale, figuriamoci quello regionale!

La decostruzione del soggetto politico avvenuta in questi ultimi trent’anni è stata asimmetrica, nel sistema politico italiano: le destre hanno predicato “bene” e razzolato male, nel senso che hanno continuato a puntare sulla primazia dell’interesse nazionale e locale (addirittura, la Lega di Salvini ha ottenuto vantaggi elettorali mai visti con la sua “sovranizzazione” del 2018). Ovviamente, gli interessi concreti dei singoli partiti del destra-centro non coincidono con l’effettiva cura degli interessi nazionali, ma questa è altra questione. Sta di fatto che il loro elettorato continua a ritenerli credibili, spostandosi da uno all’altro delle componenti del centro-destra (oggi trasformatosi, appunto, in destra-centro), ma senza disertare le urne in modo così clamoroso come l’elettorato di centro-sinistra.

Le sinistre e, specialmente, il PD hanno sostanzialmente detto al proprio elettorato che solo l’Unione europea (o la globalizzazione “intelligente” guidata da istituzioni globali) è in grado di affrontare ed eventualmente risolvere certi problemi; che i diritti che contano non sono più quelli sociali, un tempo appannaggio del Welfare State, ma quelli legati all’identità di genere, all’integrazione degli immigrati, alla libertà procreativa, ecc. Tutti diritti per cui le istituzioni meglio attrezzate si sono rivelate quelle giudiziarie, specie le corti sovranazionali. Questa svalorizzazione dell’arena politica nazionale (o locale) implicita nel discorso europeista (o iper-europeista e oggi iper-atlantista di alcuni leader) ha contribuito a rafforzare la narrazione degli anni Novanta del secolo scorso sulle virtù magiche della moneta unica e della sovranità del risparmiatore. Il che ha un senso: i partiti di governo della Prima Repubblica, magari pungolati dal PCI, sono riusciti a far guadagnare ai lavoratori lo status di piccoli proprietari, risparmiatori e investitori, le cui sorti sono assai più dipendenti dagli andamenti borsistici e del mercato immobiliare che non dalle lotte sindacali e l’indicizzazione all’inflazione di stipendi e pensioni. Per non parlare della missione anti-inflazionistica della Banca centrale.

Il PD è l’erede della Democrazia cristiana e del PCI, di cui ha raccolto il testimone, con modalità di mera conservazione del “lavoratore patrimonializzato” e “de-ideologizzato”. Il motore di questa riconversione identitaria della propria base elettorale è stata l’integrazione europea, come unico orizzonte politico possibile per ottenere avanzamenti sociali auspicabili (ma meglio sarebbe dire: ottenere la garanzia dei mini-patrimoni nel frattempo accumulati; non vorrete mica ritrovarveli svalutati tornando alla liretta?!).

Ma è stato un autodafè.

L’elettore di centro-sinistra crede poco nei politici nazionali perché gli è stato detto che la politica nazionale è, fondamentalmente, impotente. Non c’è più nemmeno il vettore dell’antiberlusconismo. Nel frattempo l’elettore di centro-sinistra non ha iniziato a credere nella politica europea, dove semplicemente i partiti europei non esistono e dove non sembra esserci altro che l’immanenza della gestione tecnocratica del giorno per giorno.

Dunque, l’astensionismo degli elettori del PD segna la riuscita del progetto delle élites politiche di quel “partito”. Il PD ha perso, il PD ha vinto!

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