Corte e Italicum: siamo proprio sicuri che interverrà?

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di Fabio Ferrari

Per vicende a tutti note, se si votasse oggi Camera e Senato sarebbero eletti con due sistemi elettorali diversi: la prima con l’“Italicum”, il secondo con il “Porcellum” corretto dalla Corte costituzionale (sent. 1/2014). Ciò rende assolutamente deplorevole un immediato ritorno alle urne, posto che sarebbe quasi impossibile ottenere una solida maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: il Governo, ammesso si riesca a formarlo, sarebbe claudicante fin dal primo vagito.

Per questo, a maggior ragione dopo il referendum del 4 Dicembre, si parla insistentemente di riforma della legge elettorale: tuttavia, un coro quasi unanime tra politici, intellettuali e giornalisti dà per scontato che il primo soggetto che dovrà occuparsene non sarà, come logica vorrebbe, il Parlamento, bensì la Corte costituzionale. In effetti, la Consulta ha calendarizzato l’udienza per l’ “Italicum” (24 Gennaio 2017).

Ma davvero la Corte costituzionale può giudicare la legittimità costituzionale della legge elettorale? La questione è complessa e cruciale; per questo è bene andare con ordine.

Punto primo: come si accede alla Corte costituzionale? Il nostro sistema impedisce al singolo cittadino un accesso diretto alla Consulta: ciò significa che Tizio, qualora dubiti della costituzionalità di una legge, non può impugnarla autonomamente innanzi alla Corte. Per ottenere questo risultato è necessario un processo: Tizio, per esempio, litiga con Caio per la proprietà di un libro antico; entrambi ritengono che il bene sia loro e si rivolgono ad un giudice perché risolva la controversia. Il giudice dubita però della legittimità costituzionale della legge attraverso la quale deve risolvere il conflitto: è dunque costretto a sollevare la “questione di legittimità costituzionale” alla Corte; difatti, non può proseguire nel suo processo senza risolvere questo terribile dubbio; se lo ignorasse rischierebbe di violare o la legge (a cui è vincolato, art. 101 Cost.) applicando la Costituzione o, peggio ancora, la Costituzione applicando la legge. Serve dunque la sentenza della Corte costituzionale che gli chiarisca se quella norma, attraverso la quale deve risolvere il caso, sia o meno rispettosa della Costituzione.

Per questi motivi si dice che la questione di legittimità costituzionale non deve essere astratta: il problema della legittimità costituzionale deve infatti sorgere in una contesa concreta tra parti che litigano, ma per altre ragioni (di chi è il libro antico?). Tizio e Caio, dunque, vogliono sapere chi è il vero proprietario del bene: questo è il loro obiettivo, non certo comprendere se la norma che deciderà la loro controversia sia o meno costituzionale. Siccome però la loro contesa può essere sanata solo risolvendo il dubbio sulla costituzionalità della norma, l’accesso alla Corte non può essere evitato. Si tratta, come evidente, di un “incidente” di percorso (da qui il nome di sistema incidentale), non della ragione del conflitto.

Proviamo ora a ragionare di legge elettorale: è davvero difficile immaginare due parti che litigano innanzi ad un giudice per una tale legge. Cosa potrebbe imputare Tizio a Caio? Un abnorme premio di maggioranza? Le liste bloccate? Soglie di sbarramento eccessivamente alte? In linea di principio, questi aspetti delle leggi elettorali non possono incrociare in concreto gli interessi processuali di un privato. Come si può pensare che una di queste norme sia quella necessaria ad un giudice per risolvere la contesa tra Tizio e Caio?

Dunque, non vi dovrebbe essere modo di portare la legge elettorale davanti alla Corte costituzionale: essa, investita della questione, dovrebbe semplicemente dichiararla inammissibile, senza nemmeno entrare nel merito della questione. Certo, per la legalità complessiva del sistema costituzionale sarebbe fondamentale sapere se quelle previsioni (premio di maggioranza etc.) rispettino o meno la Costituzione: ma una democrazia, per rimanere tale, deve prima di tutto rispettare le regole che si è data, a maggior ragione quando si tratta di un processo, il quale perde qualunque senso se lo si disancora alle norme che lo disciplinano. Questo, anche innanzi alla più condivisibile delle ragioni.

C’è però un precedente, notissimo e recente, che fa scricchiolare la ricostruzione qui proposta: si tratta della sent. 1/2014 della Corte costituzionale; in essa, con sorpresa di molti commentatori, la Corte costituzionale ha trovato il modo di giudicare la illegittimità costituzionale del Porcellum. L’espediente per ottenere questo risultato è molto tecnico e richiederebbe una narrazione a parte; si può però fare un cenno ad un punto fondamentale: la Corte, è ovvio, era ben consapevole delle difficoltà del caso; secondo la sua stessa giurisprudenza e per i motivi che abbiamo visto avrebbe dovuto, molto probabilmente, dichiarare inammissibile la questione; si è così premurata di giustificare lo “strappo” scrivendo a chiare lettere che la sentenza era dovuta anche (ma forse, soprattutto), alla necessità di garantire la legittimità costituzionale della legge elettorale. Tradotto: il bisogno di cancellare leggi elettorali incostituzionali è talmente importante da far passare in secondo piano le regole processuali… che, molto probabilmente, non avrebbero consentito di intervenire.

Non serve certo richiamare l’apologia di Socrate per sottolineare la precarietà di una tale motivazione: un giudice che non rispetta le regole processuali, anche per la più giusta delle cause, rischia di perdere ogni legittimità. Purtroppo la Corte è stata messa in questa condizione da un Parlamento insipiente e irresponsabile, il quale – nonostante le sollecitazioni che svariate volte la stessa Corte aveva posto – non si è mai premurato di riformare la legge elettorale.

Oggi, a distanza di quasi tre anni, siamo daccapo.

La congenita incapacità delle forze politiche di assumersi le proprie responsabilità pone, ancora una volta, la Corte innanzi ad un compito assai arduo (a dire il vero, nella riforma costituzionale bocciata con il voto del 4 Dicembre era prevista una soluzione intelligente per risolvere il problema dell’incostituzionalità della legge elettorale: certo, era una delle tante cose previste). Se la Corte farà prevalere il rigore delle regole, difficilmente potrà giudicare nel merito, dovendosi limitare a dichiarare inammissibile la questione. Se invece prevarranno, ancora una volta, ragioni sostanziali, la Corte troverà un altro espediente per potersi pronunciare.

Ma, si dice, la Corte non può rinnegare se stessa: dopo aver già giudicato la legge elettorale nel 2014 – buona o cattiva che siano le motivazioni di quella sentenza – deve confermare il proprio precedente e giudicare anche l’Italicum.

Qui sta l’ultimo, enorme, nodo. La vicenda dell’Italicum è ancora più complessa rispetto alla precedente: difatti, l’Italicum non è mai stato applicato. Si tratta di una legge elettorale in vigore, ma della quale non vi è mai stata la benché minima applicazione concreta. Al contrario, come noto, quando la Corte intervenne nel 2014 con il Porcellum si era votato già tra volte.

Ora, si è visto sopra che la concretezza della questione di legittimità costituzionale è fondamentale per poter bussare alla porta della Corte costituzionale: ebbene, esiste al mondo qualcosa di più astratto di una legge mai applicata?

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2 commenti su “Corte e Italicum: siamo proprio sicuri che interverrà?”

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