Di Maio ha ragione: il “contratto di governo” è la via giusta

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di Roberto Bin

In precedenti contributi in questo giornale (del 5 e del 7 marzo) avevo ipotizzato che l’unica seria via d’uscita dalla crisi sarebbe stato un accordo di governo tra M5S e il PD, sottolineando due volte la differenza fondamentale tra un’alleanza e un accordo: la prima rappresenta un patto su un programma politico ampio e stabile, con cui ci si presenta agli elettori, il secondo un contratto in cui i contraenti convergono su questioni di comune interesse. Un’alleanza implica una certa convergenza sul piano dei valori e degli obiettivi politici di lungo termine, un contratto muove dal presupposto che chi lo stipula ha interessi e obiettivi diversi, ma converge su specifici punti: il contratto che stipulo con chi mi vende la sua macchina usata non implica affatto che io e il venditore si abbia molto in comune, si vada a cena assieme e si pensi ad un progetto per le prossime vacanze estive; siamo solo d’accordo che lui mi dà le chiavi dell’auto e io l’assegno con cui pago.

Il contratto di governo è quindi una buona idea. Che poi Di Maio la proponga sia al PD che alla Lega fa parte delle tecniche di vendita, è un passo tattico un po’ goffo che rivela forse anche l’ambiguità politica del M5S, che dà l’impressione di essere interessato a ottenere la guida del Governo, piuttosto che a stabilire dove si va.

E il PD? Perfino i vignettisti sono stufi di sbeffeggiare le divisioni interne del partito. Il 21 aprile c’è l’Assemblea nazionale e lì forse si capirà che strada il PD vuole intraprendere. Forse si capirà se il contratto sia una prospettiva possibile oppure se convenga restare all’opposizione (concetto vago, sinché non si capisce qual è la maggioranza: opposizione rispetto a cosa?). Se il PD avesse la stessa serietà dei cugini tedeschi della SPD, a quella Assemblea o in una fase successiva andrebbe presentata l’ipotesi del contratto e, se approvata in linea di massima, le clausole di esso che si ritengono irrinunciabili. Anzi, come ha fatto la SPD, si dovrebbe programmare una Assemblea successiva in cui il contratto venga sottoposto ad approvazione. Bello sarebbe che ci fosse un partito che mostrasse che la democrazia interna non si traduce in litigi, polemiche e dichiarazioni laceranti ma in un confronto condotto nel rispetto di regole precise di vita democratica. Il pluralismo non si sposa con la curva dello stadio ma con la procedura decisionale regolata.

Perché il PD dovrebbe affrontare seriamente il contratto, pur con il sospetto che il contraente non sia il più serio dei contraenti possibili? Per i suoi contenuti. Perché un partito di sinistra dovrebbe avere valori e obiettivi di sinistra, e questi non si esauriscono nel fare gli interessi del partito, che si autodefinisce di sinistra o di centro-sinistra. Gli obiettivi di sinistra corrispondono ovviamente con l’esigenza di garantire al paese un Governo che persegua obiettivi precisi: eguaglianza, lavoro, protezione dell’ambiente in primo luogo.

Su questo il PD potrebbe cercare una “convergenza contrattuale”. Per esempio, cercando di definire una via mediana tra l’attuale “reddito di inclusione”, che il Governo a guida PD ha già introdotto, e il “reddito di cittadinanza”, che il M5S ancora vagheggia. E poi impostando un percorso di riforma del sistema di avviamento al lavoro e della formazione professionale, che attualmente funzionano malissimo e creano perciò problemi tanto alle imprese e che ai giovani in cerca d’impiego.

E poi c’è bisogno di promuovere una seria politica in Europa, perché è lì che bisogna imporre urgentemente una politica di sinistra, che protegga il lavoro e i diritti sociali contro una scandalosa dittatura liberistica del “mercato”, giustificata soltanto dall’assenza della politica.

E poi c’è da avviare un piano serio – e ben finanziato – di consolidamento del territorio, che prevenga il continuo ricorso all’emergenza, avviata dopo aver contato le vittime dei vari disastri.

E poi c’è la riforma della burocrazia: una riforma radicale, senza la quale qualsiasi politica pubblica è destinata a fallire. Lo sanno i politici PD, che pure l’hanno voluta, che quando un giovane dottorato chiede la DISCOL – l’indennità di disoccupazione (pagata dagli stessi dottorandi tramite trattenuta) che dovrebbe consentire loro di sopravvivere per i sei mesi nella speranza di trovare una fonte di reddito – l’INPS inizia a corrispondergliela solo dopo quattro mesi? Perché? È la burocrazia, stupida e disorganizzata. Si promette un ombrello a chi deve attraversare il temporale, ma glielo si dà quando questo è già passato (forse, ovviamente).

E poi si potrebbero eliminare i privilegi, che non sono certo né solo né principalmente i vitalizi dei parlamentari – vitalizi che da anni non esistono più, se non per gli ex parlamentari o per i loro coniugi superstiti. Ogni governo è partito “tagliando” le “macchine blu”: sì, ma quali? Ogni giudice delle corti supreme, ogni presidente di tribunale di ogni grado, ogni capo della procura, ogni alto ufficiale, ogni rettore dell’università, ogni prefetto e ogni questore… migliaia di macchine blu, di autisti e di buoni benzina. Perché? Davvero non possono servirsi di un taxi, quando si spostano per servizio? E poi, qual è il servizio per cui si deve spostare un giudice o un rettore? Se il M5S riuscisse a bonificare la “Repubblica dei privilegi” avrebbe compiuto davvero un’opera meritoria. E, per giunta, di sinistra.

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3 commenti su “Di Maio ha ragione: il “contratto di governo” è la via giusta”

  1. Presupposto di un contratto è l’affidabilità del contraente. Cioè uno che non sia un camaleonte che continua a cambiare posizione su qualsiasi cosa, come Giggino che pratica l’arte partenopea di far fessi tutti.

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