Riferisce la stampa, citando la comunicazione inviata dalla Procura di Catania al ministro Salvini, che il ritardo nello sbarco della nave Diciotti è “giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per la separazione dei poteri, di chiedere in sede Europea la distribuzione dei migranti (e il 24 agosto si è riunita la Commissione europea) in un caso in cui secondo la convenzione Sar sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro“. Per questo motivo il Procuratore Carmelo Zuccaro chiede al Tribunale dei ministri di Catania l’archiviazione.
L’episodio è noto ed è stato molto commentato (vedi in questo giornale da Bailo, Morelli, Bin): riguardava un fatto piuttosto grave, in cui un centinaio e più di persone sono state trattenute contro la loro volontà su una nave militare italiana, ancorata a Catania, e impedite di sbracare e sottoporsi alle procedure previste dalla legge. Si parlò allora di sequestro di persona (e di altri possibili reati) causati da una decisione del ministro degli interni trasmessa per vie informali ai vertici del ministero. Ora, dopo vicende che riguardavano la competenza territoriale del tribunale dei ministri che deve prendersi carico del procedimento, è stata comunicata questa decisione del Procuratore, di cui però si conosce solo quello che egli ha voluto comunicare a Salvini e Salvini ha voluto leggere a tutti noi.
Inutile ripercorrere quelle vicende. Ciò che merita una sottolineatura è invece l’affermazione del Procuratore di Catania per cui la decisione di non far sbarcare gli immigranti è stata “una scelta politica”, perciò stesso non sindacabile dal giudice, pena violare la separazione dei poteri. È una motivazione che fa molto pensare.
Gli “atti politici”, su cui i giudici non possono sindacare, sono una categoria ereditata da un passato lontano e, secondo l’opinione più diffusa, poco compatibile con la Costituzione del 1948. O meglio, ci sono senz’altro molti atti compiuti dagli organi politico-costituzionali (Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica) che non possono essere sindacati dal giudice (anzi, il sindacato sugli atti politici è vietato espressamente al giudice amministrativo dal codice del processo amministrativo): il voto di fiducia al Governo, la decisione di questo di porre la fiducia, la nomina presidenziale dei senatori a vita, lo scioglimento delle Camere, le dimissioni del Governo, la nomina dei ministri…). L’elenco potrebbe essere lunghissimo, non senza però alcune vaste zone d’ombra. Ma non è di esse che qui merita discutere.
Il problema è che nessuno degli esempi riportati presenta il vero elemento critico dei c.d. atti politici, cioè quello di togliere la tutela giurisdizionale dei diritti individuali. La Costituzione è chiara, negli art. 24 (“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) e 113 (“Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”). Il che significa che, nel momento in cui l’atto del Governo incida negativamente nella sfera dei diritti individuali, cessa di essere “politico” e perde qualsiasi pretesa di sottrarsi al giudice – giudice chiamato dall’individuo a tutelare i suoi diritti. Non ci può essere “atto politico” che deroghi alla protezione che la Costituzione assicura a tutti.
Questa è la domanda che avrebbe dovuto porsi il Procuratore di Catania: il provvedimento – assunto dal ministro via tweet o per telefono, a quanto pare – ha comportato o meno una violazione dei diritti degli individui che ne sono stati colpiti? Perché senza questa valutazione, l’affermazione che il provvedimento è un atto politico è una pura petizione di principio (non è sindacabile perché è un atto politico; è un atto politico perché non può essere sindacato).
Naturalmente faccio male a commentare un atto giudiziario senza averne letto le motivazioni (che però non sono disponibili). E comunque spetterà al tribunale dei ministri di Catania valutare le motivazioni del Procuratore e decidere se accoglierle e archiviare o se respingerle e proseguire il giudizio. Ma merita sottolineare che non si tratterà soltanto di valutare il comportamento del ministro degli interni in quella specifica occasione, ma di stabilire se la protezione che la Costituzione italiana garantisce a tutti noi sia cedevole davanti agli atti delle autorità politiche: il che ci farebbe compiere un brutto passo indietro nella nostra storia civile.