L’Unione europea, il debito pubblico e il commissariamento soft dei partiti nazionali

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di Andrea Guazzarotti

Wolfgang Streeck ha impietosamente dissacrato la fede europeista delle élite italiane e francesi in una recente intervista: «Stando alla retorica diffusa in Italia e in Francia, è come se in quei Paesi ci si aspetti che il governo tedesco si senta ora obbligato a compensare i Paesi partner per il loro errore di calcolo [nel progettare l’unione monetaria]. […] I Paesi che soffrono dell’unione monetaria dovrebbero pensare a come liberarsene invece di sperare in compensazioni da parte dei Paesi che ne beneficiano. Tutto quello che i Paesi ricchi faranno per quelli poveri sarà permettere alle loro élite cosiddette “europeiste” di rimanere al potere con promesse irrealistiche di “solidarietà europea” o future decisioni a maggioranza a Bruxelles. […] Il governo tedesco fa politica tedesca, non francese o italiana, e nemmeno “europea”: fa politica europea tedesca, che è diverso. Può non piacere, ma bisogna saperlo e tenerne conto. Non ci saranno modifiche ai Trattati […]».

In maniera più sofferta, un altro intellettuale tedesco, Wolfgang Münchau, ha espresso un analogo scetticismo verso l’integrazione economica europea: la crisi dei debiti sovrani gli avrebbe tolto la grande illusione europeista che le crisi rendono l’UE più forte; quella crisi ma anche l’attuale dimostrano che le crisi ci rendono più deboli. Molti europeisti sono inclini a «celebrare false albe, come la creazione del Meccanismo europeo di stabilità [… o a scambiare] il recovery fund [per] la nascita di un’unione fiscale europea, [sottacendo] che il suo valore costituisce solo lo 0,3% del PIL annuale». Sarebbe stato sufficiente un budget federale pari al 5% del PIL per assolvere le funzioni economiche fondamentali dell’UE, ma questo non si è fatto né si farà. «Se un’autentica unione economica costituisce l’opzione migliore, a ciò non segue logicamente che un’unione economica disfunzionale debba essere la seconda opzione».

Quel che vorrei osservare, dal punto di vista italiano, è che la strategia adottata dall’UE per uscire dalla crisi pandemica attraverso il fantasioso ricorso alle architetture barocche del NGEU non porta acqua alla causa della democrazia, né in Italia, né in Europa. Il meccanismo di finanziamenti condizionati del c.d. “Recovery Fund” è fondamentalmente un commissariamento soft della politica nazionale di Stati come il nostro, il quale, unico nel panorama europeo, ha deciso di richiedere sia i sussidi che i prestiti del NGEU. La gestione di tale meccanismo di finanziamento (teoricamente fino al 2026) non sembra in grado di indurre una ristrutturazione della democrazia partitica italiana.

Se è vero che la spesa pubblica tipica dello Stato sociale è stata possibile solo grazie all’irrompere dei grandi partiti di massa, i quali proprio dal potere collettivo di spesa sono legittimati, non è detto che ciò possa riprodursi nel diverso contesto storico attuale. La legittimazione che viene dalla spesa pubblica non va ai partiti attualmente in carica, bensì ai tecnici che dei finanziamenti europei sono i “garanti” e che, in forza di ciò, costringono i partiti a un’innaturale coalizione. La recentissima gestione dell’elezione del Presidente della Repubblica (o meglio, della sua “ri-elezione”) ha dimostrato l’attuale fase di crisi del sistema politico, con lo sfaldamento delle malcerte alleanze tra partiti e l’incapacità dei leader a controllare i propri parlamentari. Il commissariamento soft legato ai programmi di spesa europei difficilmente invertirà tale corso, anzi.

Si potrebbe dire che, sul piano europeo, le cose stiano diversamente: finalmente l’UE ha dimostrato capacità di gestione solidale delle crisi, in particolare con l’emissione di debito comune per ottenere prestiti “calmierati” da redistribuire agli Stati membri “secondo il bisogno”. Molto meglio che commissariare gli Stati più bisognosi con il famigerato Meccanismo europeo di stabilità (MES) e la Troika! Vero. Ma le entrate del NGEU sono extra-budget e il Parlamento europeo è praticamente estromesso dalla sua gestione. Non si tratta di investimenti europei, bensì di investimenti degli Stati membri scrupolosamente negoziati con la Commissione e da questa controllati, con l’approvazione (o il veto) finale del Consiglio. Ancora una volta, nessuna legittimazione di (fantomatici) partiti europei tramite potere di spesa.

La conferma di questo scenario – più tecnocratico che democratico – la si trova nel progetto di riforma della governance avanzato dai soliti tecnici (primo firmatario: Francesco Giavazzi) e fatto “quasi proprio” da Draghi e Macron in una nota lettera della fine del 2021. La riforma ivi progettata mira a creare un’agenzia europea di gestione del debito (European Debt Management Agency), cui attribuire la gestione dell’ingente ammontare di titoli del debito pubblico acquistati dalla BCE con il quantitative easing “pandemico” (Pandemic emergency purchase programmePEPP). Di questi titoli (prevalentemente italiani) prima o poi la BCE dovrà liberarsi. Ma perché sforzarsi di crearla ex novo, quest’agenzia, visto che già esiste il MES?

A quel punto, una buona fetta del debito italiano sarebbe affidata alle premurose mani del comitato intergovernativo del MES, il cui direttore generale è il tedesco Klaus Regling. Per inciso: considerato l’effetto “stigma” che l’intervento del MES comporta per lo stato indebitato, non si capisce come possa essere preservato dalla maledizione dello spread il restante stock di debito pubblico nazionale lasciato in balia dei mercati.

Ma a quel punto dovremo solo augurarci che il Presidente del Consiglio italiano attualmente in carica possa garantire che anche questa seconda e più pervasiva forma di commissariamento avvenga in modo soft. Da sperare che Draghi possa evitarci, oltre allo stigma del MES, la svendita a prezzi di saldo degli asset nazionali.

Insomma, non si pensi di poter fare a meno dei tecnici prestati alla politica per gli anni a venire, nei quali la politica partitica apparirà sempre più un lusso che l’Italia non può permettersi.

O forse no?

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