Voto italiano, UE e sistema (a)politico multilivello

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di Andrea Guazzarotti

 In Italia, ma già alle parlamentari francesi di pochi mesi fa, prosegue il calo della partecipazione al voto. I più penalizzati sono i partiti di centro-sinistra, specie il partito più di tutti e da più lungo tempo schierato a favore della tecnocrazia europea. L’antieuropeismo estremo del partito “Italexit” è battuto; ma la vittoria netta della Meloni sovranista (alleata in Europa con Ungheria e Polonia) dà un segnale abbastanza chiaro sul futuro dei rapporti Italia-UE.

«Affidiamoci al pilota automatico dell’UE e dei capi di governo che essa, assieme ai mercati, seleziona per noi». Se questo è il messaggio prevalente agli elettori di centro-sinistra, allora non c’è bisogno di votare. Ma la paura del ritorno al fascismo? Come sopra: ci penserà la Commissione e, ancora più efficacemente, la BCE. Punto.

La governance multilivello dell’Unione europea non è stata fin qui in grado di produrre strumenti di legittimazione politica diretta del livello più comprensivo, quello “para-federale”. Le federazioni di partiti nazionali presenti nel Parlamento europeo non hanno strutturato alcun autentico sistema politico sovranazionale. Il Parlamento europeo appare come un’organizzazione prevalentemente dedita a stigmatizzare le violazioni dei diritti umani e, negli ultimi anni, dello stato di diritto, con una funzione più degna di una NGO che di un organo politico-rappresentativo. Ma la difesa dello stato di diritto e degli altri valori fondanti dell’UE (art. 2 TUE), operata oggi attraverso la restrizione dei cordoni della borsa (regolamento sulla condizionalità 2020/2092), appare un’opera senz’altro meritoria, ma poco in grado di innescare quel sistema politico di cui l’UE è orfana.

L’UE è stata a lungo un’aspirazione d’unità federale magicamente raggiungibile senza politica ma integrando i diritti dei ‘suoi’ cittadini. Durante i negoziati asimmetrici intergovernativi che hanno scandito la crisi economica, così come nelle più brevi ma defatiganti trattative della crisi pandemica, l’UE ha dimostrato la sua vera essenza di arena di conflitto tra governi, con cui raggiungere soluzioni emergenziali e quasi sempre asimmetriche. By the way: come è stata assegnata la vittoria al Nord Stream 2 sul South Stream?

E allora: appare davvero così irrazionale, alla vigilia delle rinegoziazioni del Patto di stabilità e crescita, che un Paese cui è stata più volte indicata la via del MES e del commissariamento opti per un governo ‘nazionalista’?

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3 commenti su “Voto italiano, UE e sistema (a)politico multilivello”

  1. Dal momento in cui lo stato fiscale diventa stato indebitato (con i mercati finanziari) e cioè con gli stessi agenti detentori di capitali che si sono svincolati dai sistemi fiscali statali, la sovranità appartiene ai ‘mercati’ che la esercitano senza nessun vincolo se non quello della conservazione attiva del proprio valore (la protezione sociale dei ricchi della propria ricchezza ha sopravanzato e spodestato la protezione sociale delle popolazioni dipendenti da reddito lavoro).

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  2. Quindi a me, ora come ora, la UE ricorda più che altro un sovrastato deputato ad assecondare le istanze dell’industria di protezione sociale della ricchezza avanzate dai mercati. I diritti civili sono forme di sport piacevoli per chi non si deve e non vuole confrontarsi con questioni politiche come il conflitto distributivo e le annesse questioni fondamentali che hanno portato la disaffezione verso la politica – specie socialdemocratica.

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  3. Faccio fatica a distinguere nell’articolo l’analisi di quello che l’UE, i trattati, il PE e i partiti europei oggi sono e quello che il Prof. Guazzarotti pensa che dovrebbero essere. Tale confusione non facilita né l’accertamento delle responsabilità né la ricerca di soluzioni, sia nel contesto politico-istituzionale attuale, sia nel mondo virtuale degli ideali, degli obiettivi, delle buone intenzioni e delle false idee. Ci devono davvero pensare i partiti europei, o le federazioni di partiti nazionali nel PE, o più precisamente i gruppi nel PE, a realizzare “un autentico sistema sovranazionale”, scopo ideale dell’UE, secondo l’autore. “La governance multilivello dell’Unione europea non è stata fin qui in grado di produrre strumenti di legittimazione politica diretta del livello più comprensivo, quello ”. Non sono d’accordo. Innanzitutto non è il PE ma il Consiglio che 1. decide, legifera, a maggioranza qualificata o all’unanimità, secondo il caso; è lui che rappresenta (termine forte che risale al 600, a Locke, e alle grandi Rivoluzioni in America e in Francia) [peraltro non i cittadini europei, ma] i popoli degli Stati membri. Il PE ha solo competenze [subalterne] di co-decisione e di esprimere pareri. Questo ordine giuridico determina anche le responsabilità, fondamentalmente nazionali: non è l’UE che può riformare le strutture economiche, finanziarie, e tutte le altre, politiche, civili e sociali italiane, ma è il governo (in senso lato, cioè le istituzioni rappresentative parlamentari e governative) del paese membro che deve occuparsene muovendosi in convergenza con gli altri Stati membri, o piuttosto con i più virtuosi, e in sintonia con le indicazioni della Commissione e le sentenze della CGUE. Un sano sovranismo, inteso come responsabilità nazionale sia delle competenze domestiche sia di contributo nazionale a quelle europee, può fare solo bene al paese. Peccato che questo concetto viene promosso confusamente e impropriamente da un governo sostenuto da partiti [fino a poco fa] euroscettici, anti-euro e anti-europei che alla fine si piegheranno solo per opportunismo [di non perdere i benefici europei, cioè i fondi del NGEu, del PNRR, del MES e i tassi relativamente bassi della moneta unica] alla logica del pilota automatico e del vincolo esterno. E se l’incomprensione della realtà europea avesse in larga parte determinato la situazione ambigua e incerta in cui il paese ora si trova?

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