Una storica vittoria per il clima?

di Raffaele Roberto Severino*

L’ordinanza delle Sezioni Unite n. 20381 del 21 luglio 2025, interviene nel contenzioso climatico nazionale……da tempo in attesa di un intervento chiarificatore circa la capacità dell’ordinamento italiano di assicurare mezzi adeguati per la tutela giurisdizionale della stabilità del sistema climatico, anche alla luce delle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) contenute nelle decisioni della Grande Chambre del 9 aprile 2024 e segnatamente nella nota sentenza KlimaSeniorinnen che ha riconosciuto un diritto per gli individui, derivato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), alla protezione dagli effetti negativi del cambiamento climatico, affermato l’importanza del controllo giurisdizionale, da parte della Corte stessa e dei giudici nazionali, e dettato nuovi criteri sullo standing di individui e associazioni (cfr. Il caso Verein Klimaseniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera: l’emergenza climatica davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quali possibili conseguenze per il contenzioso climatico italiano?).

Nonostante l’urgenza di una reazione all’altezza delle sfide poste dalla crisi climatica e l’evoluzione significativa del contenzioso climatico a livello globale, i due climate case italiani sono infatti ancora lontani dal giungere a un giudizio di merito.

Il c.d. Giudizio Universale si è concluso in primo grado con una sentenza fortemente criticata in dottrina (cfr. Cardelli, La sentenza “Giudizio Universale”: una decisione retriva, Stavenato, Se un fisico legge la sentenza “Giudizio Universale”, Giaccardi, La sentenza del caso climatico “Giudizio Universale” è nulla), con la quale il Tribunale di Roma ha rilevato il difetto assoluto di giurisdizione (salvo ammettere astrattamente la possibilità di impugnare il PNIEC davanti al giudice amministrativo). Il processo di appello è iniziato lo scorso 29 gennaio e l’udienza di rimessione della causa in decisione è fissata per il 21 ottobre 2026.

La c.d. Giusta Causa, nella quale si sono ora pronunciate le Sezioni Unite con l’ordinanza in commento, è stata promossa già nel 2023 dalle associazioni Greenpeace e ReCommon, insieme ad alcuni singoli individui, contro Eni S.p.a. e, quali azionisti di controllo di Eni, il Ministero dell’economia e la Cassa depositi e prestiti. L’iniziativa, ispirata al noto precedente olandese Milieudefensie c. Shell, (cfr. La sentenza della Corte d’appello dell’Aja nel caso Milieudefensie et al. c. Shell e i possibili sviluppi del caso Greenpeace et al. c. Eni et al.) evoca la responsabilità di Eni e degli altri convenuti ex art. 2043 c.c. (o, in subordine, ex artt. 2050 e 2051 c.c.). Secondo gli attori, la carbon major italiana avrebbe disatteso gli obiettivi climatici internazionalmente riconosciuti di cui si sarebbe dovuta dotare, in conformità all’Accordo di Parigi e agli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale, violando i diritti umani tutelati dagli artt. 2, 9, 32 e 41 Cost., dagli artt. 2 e 8 della CEDU e dagli artt. 2 e 7 della CDFUE, derivandone per gli attori danni patrimoniali e non patrimoniali, distinti dal danno ambientale, di cui si chiede il risarcimento in forma specifica con la condanna di Eni a ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 45% (ovvero in altra misura da accertarsi in corso di causa) entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020; e degli altri convenuti ad adottare una policy operativa che definisca e monitori gli obiettivi climatici di cui Eni dovrebbe dotarsi.

Forti del precedente maturato nel Giudizio Universale, tutti i convenuti hanno eccepito, tra varie ragioni di inammissibilità della domanda, il difetto di giurisdizione del giudice adito, in relazione a diversi profili. In particolare, la difesa di Eni faceva valere il difetto assoluto di giurisdizione, in quanto l’intervento richiesto al giudice nella definizione della sua politica aziendale violerebbe il principio di separazione dei poteri, richiedendo ogni limitazione della libertà d’impresa un bilanciamento di interessi riservato al legislatore; inoltre, la giurisdizione del giudice italiano difetterebbe in relazione alle condotte poste in essere al di fuori del territorio nazionale.

L’inammissibilità veniva poi eccepita anche in relazione al distinto profilo dell’impossibilità giuridica o della non giustiziabilità della domanda, data l’abnormità del provvedimento richiesto che si tradurrebbe in un’ingerenza illegittima nella libera determinazione delle politiche aziendali, in violazione del diritto di iniziativa economica garantito dall’art. 41 Cost.

Il Tribunale di Roma, l’11 aprile 2024, rimetteva la causa in decisione proprio in ragione delle eccezioni sollevate. Si profilava quindi il rischio di una nuova declinatoria di giurisdizione, con buona pace dei giudici di Strasburgo che soltanto due giorni prima, con la sentenza KlimaSeniorinnen, si erano espressi con fermezza sul ruolo chiave che spetta ai giudici nazionali nel contenzioso climatico. Per scongiurare un tale epilogo, gli stessi attori, con ricorso ex art. 41 c.p.c., chiedevano alla Cassazione di regolare in via preventiva la questione.

Finalmente, le Sezioni Unite hanno escluso il difetto assoluto di giurisdizione. La decisione sottolinea l’appartenenza della Giusta Causa al noto filone della climate change litigation diretta contro un’impresa, diversamente dal Giudizio Universale che segue invece il modello alternativo del contenzioso climatico rivolto contro lo Stato legislatore o lo Stato-amministrazione (l’ordinanza non manca di richiamare i noti precedenti Urgenda, Neubauer e Notre Affaire à Tous). Il Ministero dell’Economia e la Cassa Depositi e Prestiti – si osserva – sono convenuti in quanto azionisti di riferimento di Eni e non come pubbliche amministrazioni. L’iniziativa di Greenpeace et al. sarebbe quindi una “comune azione risarcitoria” e, in quanto tale, scrutinabile dal giudice civile, senza che venga in rilievo – diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Roma nel caso Giudizio Universale“la responsabilità dello Stato legislatore per atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione, indubbiamente emergenziale, del cambiamento climatico antropogenico”. Deve quindi escludersi che il sindacato sollecitato al giudice di merito comporti un’invasione della sfera riservata al potere legislativo.

L’ordinanza delle Sezioni Unite ha inoltre riconosciuto la giurisdizione del giudice italiano per i danni derivanti dalle emissioni climalteranti dovute alla strategia industriale e commerciale di Eni ancorché prodotte al di fuori del territorio nazionale.

La decisione, a lungo attesa, è stata salutata con favore dalle associazioni ricorrenti che vi vedono una “storica vittoria per il clima”. La Giusta Causa potrà ora essere riassunta davanti al Tribunale di Roma e riprendere il suo corso.

Al contempo, però, la decisione delle Sezioni Unite rimane confinata nei limiti oggettivi, rigidamente circoscritti nella stessa ordinanza, del regolamento di giurisdizione, finendo per deludere le aspettative di una pronuncia di più ampio respiro sul contenzioso climatico italiano. In particolare, è difficile prevedere in che misura l’ordinanza potrà esercitare un’influenza sul caso Giudizio Universale e, in generale, sul contenzioso diretto a rimediare alle insufficienze dello Stato a fronte della crisi climatica.

Le Sezioni Unite richiamano più volte le conclusioni del Tribunale di Roma nel Giudizio Universale senza mai mostrare di aderirvi, almeno non espressamente, ma senza nemmeno prenderne chiaramente le distanze, limitandosi invece ad affermare che il ragionamento del giudice romano non può trovare applicazione nella Giusta Causa, stante la diversità delle due fattispecie. Anche se la mancanza di una statuizione chiara darà probabilmente adito a letture di segno contrario, l’adesione della Cassazione alla sentenza Giudizio Universale appare inverosimile, posto che quest’ultima risulta a sua volta inconciliabile con quanto stabilito dalla Corte EDU.

Una parziale censura della sentenza del Tribunale di Roma può forse scorgersi laddove l’ordinanza riconosce la possibilità di un’azione risarcitoria anche a fronte di un’omissione del legislatore. Viene infatti precisato che un’invasione da parte del giudice della sfera riservata al potere legislativo è configurabile “soltanto quando il giudice ordinario o speciale non abbia applicato una norma esistente, ma una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete (…), e non anche quando sia stato chiamato a pronunciarsi su una comune azione risarcitoria, ancorché fondata sull’allegazione dell’omesso o illegittimo esercizio della potestà legislativa, la quale non dà luogo ad un difetto assoluto di giurisdizione, neppure in relazione alla natura politica dello atto legislativo, ove sia stata dedotta la sola lesività della disciplina che ne è derivata”.

Bisogna poi osservare come, nonostante alcuni precedenti in cui l’improponibilità assoluta della domanda, sub specie di domanda concernente un diritto non configurato neppure in astratto a livello normativo, è stata assimilata al difetto assoluto di giurisdizione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 6690 del 09/03/2020; contra, conforme all’ordinanza in commento, ex multis, Cass. civ., Sez. Un., n. 8725 del 28/03/2023), le Sezioni Unite mantengano ferma la distinzione tra difetto di giurisdizione del giudice adito e difetto di giustiziabilità della domanda, precisando che quest’ultimo profilo è questione di merito, estranea al thema decidendum del regolamento di giurisdizione.

Il Supremo Collegio evita così di pronunciarsi sulla vera, fondamentale questione sollevata dalla Giusta Causa: la diretta applicabilità, nei confronti di privati, degli obblighi sanciti a livello internazionale e sovranazionale di stabilizzazione del sistema climatico e di protezione dei diritti umani, tra cui l’Accordo di Parigi e gli artt. 2 e 8 CEDU, nonché degli artt. 9, terzo comma, e 41, secondo e terzo comma, Cost., limitandosi a richiamare brevemente, insieme alle fonti poste all’attenzione del giudice del procedimento principale, la sentenza KlimaSeniorinnen e il riconoscimento ivi contenuto del diritto degli individui a una protezione efficace contro i gravi effetti del cambiamento climatico.

Sulla questione dovrà ora pronunciarsi il Tribunale di Roma, sempre che non siano di ostacolo ad un esame nel merito della controversia le altre eccezioni sollevate e tuttora non decise.

Un’attenzione particolare merita la questione della legittimazione ad agire, che pare destinata a intersecarsi con il dibattito mai sopito circa la possibilità di una tutela giurisdizionale degli interessi che trascendono la sfera prettamente individuale, ai quali i convenuti ascrivono le situazioni giuridiche dedotte dagli attori.

Sulla questione, indubbiamente estranea all’oggetto del ricorso per regolamento di giurisdizione e perciò demandata anch’essa al giudizio principale, l’ordinanza richiama, ancora una volta, la sentenza KlimaSeniorinnen ricordando come la Corte EDU abbia interpretato “in modo non rigido e meccanico, ma evolutivo e flessibile, alla luce degl’interessi in gioco e delle condizioni della società contemporanea” il criterio dello status di vittima, riconoscendo la legittimazione dell’associazione ricorrente.

Sarà quindi il giudice del procedimento principale a doversi confrontare con il dettato della Corte EDU e a recepirne – correttamente, si spera – le indicazioni. In questo, l’ordinanza delle Sezioni Unite aggiunge ben poco.

Del resto, la stessa Corte EDU ha rinunciato a pronunciarsi direttamente sul contenzioso climatico italiano, pur avendone avuto, di recente, l’occasione. Il 7 maggio 2025, la Prima Sezione ha infatti dichiarato inammissibili i ricorsi Uricchio e De Conto, ma – diversamente dal caso Duarte Agostinho, ove alla decisione di inammissibilità si accompagnava una dettagliata analisi del diritto interno portoghese – ha omesso ogni valutazione circa l’esistenza, in Italia, di mezzi di ricorso esperibili a tutela del clima, valutazione che avrebbe potuto contribuire a riorientare il nostro ordinamento, dissipando i molti dubbi sulla sua adeguatezza ad affrontare le sfide poste dall’emergenza climatica.

L’attesa di una pronuncia chiarificatrice è rinnovata.

* Dottorando in Diritto e management della sostenibilità, Università di Siena

Condividi!

Scopri di più da laCostituzione.info

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento

Utilizziamo cookie (tecnici, statistici e di profilazione) per consentire e migliorare l’esperienza di navigazione. Proseguendo con la navigazione acconsenti al loro uso in conformità alla nostra cookie policy.  Sei libero di disabilitare i cookie statistici e di profilazione (non quelli tecnici). Abilitandone l’uso, ci aiuti a offrirti una migliore esperienza di navigazione. Cookie policy

Alcuni contenuti non sono disponibili per via delle due preferenze sui cookie!

Questo accade perché la funzionalità/contenuto “%SERVICE_NAME%” impiega cookie che hai scelto di disabilitare. Per porter visualizzare questo contenuto è necessario che tu modifichi le tue preferenze sui cookie: clicca qui per modificare le tue preferenze sui cookie.