“Net Zero”: un abecedario sul cambiamento climatico

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di Pierluigi Mascaro

Lorenzo Forni, docente di Economia politica all’Università di Padova e Segretario Generale dell’Associazione Prometeia, ha trattato con estrema chiarezza e finezza giuridico-economica l’attualissimo tema del mutamento climatico nel suo ultimo libro “Net Zero”, edito da Il Mulino nel maggio 2023. Qui di seguito la sua intervista.

  1. Perché nel Suo libro utilizza, riguardo l’attuale “crisi climatica”, l’immagine di una montagna da scalare?

Non una montagna qualsiasi, ma uno dei picchi del mondo! Diciamo l’Everest. Perché decarbonizzare la nostra economia è un’impresa di portata storica, è un percorso che nel migliore dei casi sarà lungo e pieno di imprevisti, che potremmo anche non essere in grado di portare a termine. E in ogni caso per ora stiamo prevalentemente facendo prove e preparativi, un po’ come un gruppo di alpinisti al campo base. Ma come loro, non si può aspettare troppo a cominciare la scalata, perché il tempo stringe, più aspettiamo più sarà difficile, un po’ come una spedizione sull’Everest non può aspettare l’autunno per partire.

  1. Quale ruolo devono avere i pubblici poteri nell’arginare il cambiamento climatico?

Io sono convinto che le politiche pubbliche siano fondamentali. Gli operatori economici non affronteranno i costi connessi alla decarbonizzazione se questi non vengono imposti a tutti attraverso politiche pubbliche. Lo stato ha anche la capacità di aiutare chi fa più fatica nel processo, o in parte incentivare i privati a fare le scelte giuste al fine di ridurre le emissioni, in questo modo assicurandosi che tutti facciano la loro parte.

  1. Cosa possono fare, al medesimo fine, le imprese private?

Le imprese sono produttrici importanti di CO2. In Italia la manifattura, escludendo i settori della produzione energetica, produce circa un quinto di tutte le emissioni del paese. E teniamo conto che il nostro paese non è caratterizzato da una concentrazione di industrie pesanti che tendono ad emettere di più. Le imprese, quindi, devono essere parte del processo. In Europa, l’European Emission Trading System ha già contribuito a ridurre le emissioni delle imprese più energivore costringendole a comprare diritti di emissione per le loro emissioni. Quindi il lavoro più importante ora si deve fare sulle imprese piccole e medie.

  1. Quale apporto possiamo dare noi cittadini, singolarmente o riuniti?

Dobbiamo accettare la necessità di ridurre le emissioni, e avviare un percorso per capire come reagire a livello personale e familiare. Bisogna prima di tutto prendere consapevolezza del problema, capire cosa i nostri governi stanno (o non stanno facendo). A livello individuale ci sono tante piccole azioni che possiamo fare, ma nessuna veramente risolutiva. La ragione è che non possiamo non consumare energia (che all’80% viene prodotta con combustibili fossili), mangiare (anche l’agricoltura e la produzione di fertilizzanti sono fonti importanti di emissioni), vivere in una casa (che ha richiesto cemento e acciaio per serre costruita, la cui produzione è fonte importante di emissioni, per essere prodotta) …insomma come ci giriamo emettiamo. Non fa molta differenza se riduciamo il nostro consumo di carne, o se compriamo a km zero, anche se dobbiamo comunque abituarci a farlo. Penso che il nostro ruolo come cittadini sia accettare, e anzi favorire, il fatto che i nostri governi adottino politiche che comportano per noi qualche costo, ma che sono essenziali per ridurre le emissioni.

  1. Perché non possiamo porci obiettivi troppo ambiziosi di emissioni Net Zero entro il 2050?

Il Net Zero al 2050 è con ampia probabilità irraggiungibile. Però questo non vuole dire che dobbiamo abbandonare l’obiettivo Net Zero, perché prima o poi dobbiamo arrivarci se vogliamo stabilizzare gli aumenti di temperature e tutti i problemi che questi comportano. Il rischio di fissarci sul 2050 e di fare di tutto per rispettare formalmente le tappe intermedie (ad in Europa -55% di emissioni al 2030) è quello di fare dei passi falsi che poi potremmo pagare dopo, come costruire molte centrali a gas che riducono le emissioni rispetto a quelle a carbone e a petrolio e che però hanno una vita lunga, invece che investire nel solare ed eolico, anche se al momento è più complicato e costoso.

  1. Alcuni scienziati molto autorevoli, come ad esempio Franco Prodi, sostengono che non ci siano prove per affermare che i cambiamenti climatici dipendano dall’uomo. Cosa ne pensa?

Non ho mai letto/ascoltato Franco Prodi, ma in generale quelli che vengono considerati “negazionisti” (come ad esempio Carlo Rubbia) in realtà non negano il fatto che le emissioni siano alla base dell’effetto serra e che – soprattutto negli ultimi 40/50 anni – noi le abbiamo aumentate a livello globale enormemente (questo in buona parte per lo sviluppo incredibile della Cina). Di solito sostengono che l’aumento delle temperature che questo comporta è di dimensioni contenute rispetto alle oscillazioni che le temperature hanno avuto nella storia del nostro pianeta. Ma io sono un economista, so che i rapporti dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite) sono preparati da centinaia dei migliori esperti a livello mondiale e quindi li ritengo la fonte più affidabile. Per ogni singolo scettico del clima che possiamo contare, ci sono migliaia di esperti che dedicano la vita e che hanno molteplici pubblicazioni che puntano nella direzione opposta. Io mi fido di questi, anche se ammetto con un po’ di trepidazione perché è un tema sul quale non ho pieno controllo. È un po’ come quando si va in sala operatoria o si sale su un areo, ci si fida del chirurgo e del pilota, con un po’ di trepidazione appunto, che sappiano quello che stanno facendo. Di solito sanno quello che stanno facendo, se li abbiamo scelti con un po’ di criterio. Per questo ogni volta che mi capita di parlare con un esperto di clima, controllo sempre che quello che ho capito sia corretto. In questo caso poi non è un singolo chirurgo o pilota, ma sono migliaia allo stesso tempo.

  1. Che ne dice delle politiche europee sull’efficientamento energetico degli edifici e sullo stop ai motori diesel e benzina? Sono misure necessarie?

Non solo sono necessarie, ma sono solo l’inizio. I trasporti contano per circa un quarto delle emissioni italiane e gli edifici per una quota simile (anche se ci sono varie stime a seconda di quello che si include). Tenete conto, tra l’altro, che l’inquinamento atmosferico delle città (che è un problema diverso dal riscaldamento globale, ma in qualche modo legato) dipende principalmente da riscaldamenti e trasporti, per cui potremmo prendere due piccioni con una fava, meno riscaldamento globale e allo stesso tempo città più vivibili

  1. Queste decisioni non rischiano di aumentare le disuguaglianze sociali?

Certo c’è un costo, perché sostituire la caldaia con una pompa di calore o comprare una macchina elettrica ha un costo. Per questo l’intervento pubblico è così importante, per aiutare chi ha redditi più bassi. Ma gli aiuto devono essere molto mirati, non ci possiamo permettere aiuti come alcuni di quelli introdotti contro il caro bollette che in meno di due anni ci sono costati più di 90 miliardi.

  1. E’ giusto che l’Europa prenda dei provvedimenti unitari o sarebbe meglio diversificare gli interventi sulla base delle esigenze dei singoli Stati?

Questa è un’ottima domanda. L’Europa ha preso la leadership sulle questioni climatiche in parte perché gli obiettivi che ci siamo posti all’interno degli Accordi di Parigi riguardano l’Europa nel suo complesso. D’altra parte, ridurre le emissioni degli edifici, per esempio, va fatto da tutti i paesi membri e si tratta di decidere una soglia di efficienza energetica comune per evitare diversità di trattamento, insomma ci devono essere degli standard comuni. Discorso analogo sulle automobili. Su altri aspetti invece immagino che i paesi debbano avere dei margini di flessibilità.

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