Sorprese e strafalcioni del Ministro Savona

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di Pietro Faraguna

Che i rapporti tra Governo italiano e Unione europea non siano facili negli ultimi tempi è cosa risaputa. I toni del dibattito politico sono sempre più accesi, e assistiamo a un’escalation di dichiarazioni pubbliche che sembra ben lontana dal trovare una tregua. Che tutto ciò abbia un impatto straordinariamente significativo anche per gli assetti costituzionali interni dell’Italia – delle cui dinamiche si è soliti occuparsi in queste pagine – è una questione acquisita ormai da molto tempo. Le costituzioni degli Stati membri dell’Unione europea si sono trasformate – alcune anche testualmente, altre soltanto interpretativamente – sotto alla pressione della costruzione dell’edificio europeo, del quale gli Stati membri sono colonne portanti, e l’assetto costituzionale europeo comprende in sé il diritto costituzionale degli Stati membri, tanto che si ragiona sempre più spesso di costituzione composita europea.

È per questo stretto rapporto, potremmo dire bidirezionale, che intercorre tra diritto interno e diritto europeo che può essere utile interessarsi ai nuovi sviluppi dei rapporti tra Italia e UE anche con lo spirito un po’ distaccato e cinico del giurista. In questa prospettiva, quali sono le mosse istituzionali che il Governo sta adottando a Bruxelles? Per scoprirlo potrebbe essere utile scorrere il documento che è stato inviato a Bruxelles lo scorso 7 settembre dal ministro per gli Affari europei, anche in esercizio di quella competenza direttamente attribuitagli nella delega come Ministro senza portafoglio «a contribuire, d’intesa con i Ministri competenti, alla formulazione di proposte in materia di riforma dei trattati e del diritto europeo» (art. 1, co. 1, lett. e) del DPCM di delega). Il documento (qui in full-text) è intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa” e contiene una proposta di riforma dell’Unione europea. Il documento è firmato dal Ministro per gli Affari europei, prof. Paolo Savona, ormai ben noto padre intellettuale di quel Piano B (quello cui l’Italia avrebbe dovuto prepararsi in caso di uscita dall’Euro) e protagonista di una “mancata” nomina al Ministero dell’Economia nelle tortuose fasi di formazione dell’attuale governo, seguite con attenzione anche in queste pagine (si rimanda qui ai commenti di Chessa, Caruso, Bin, Curreri, Gigliotti, Alberti, Trucco, ancora Bin). Come si ricorderà, al termine di quella turbolenta vicenda, a Via XX Settembre finì per andarci Tria, mentre Savona fu nominato Ministro per gli Affari europei.

Il documento, la cui natura istituzionale è peraltro non ben definita, è stato trasmesso dal Ministro Savona poche settimane fa a Bruxelles ed è stato letto come una sorta di Piano A, in contrapposizione al famigerato Piano B, la cui riconducibilità a Savona stesso gli sarebbe costato proprio il ministero dell’economia.

Nel documento infatti si leggono posizioni piuttosto sorprendenti se si considera che reca in calce la firma di un Ministro del Governo Lega-M5S: non solo si riconosce l’irreversibilità dell’Euro, ma questo riconoscimento è alla base delle proposte di riforma dell’Unione europea: per «rendere irreversibile l’euro» si legge nel documento «è necessaria una strategia alternativa (di second best) che, rinviando i pur necessari problemi riguardanti l’integrazione dell’architettura istituzionale dell’Unione, si deve concentrare nell’interpretazione degli accordi per attuare una politica monetaria e fiscale che consenta la convergenza delle condizioni di vita dei cittadini europei per rivitalizzare il consenso necessario per l’Unione Europea e l’euro» (pag. 8).

Laddove non si accogliesse la prospettiva sposata dal documento, infatti, si legge nelle parole del Ministro stesso, «l’UE non sarebbe in condizione di invertire la tendenza alla perdita di consenso presso gli elettori, rischiando di arrivare alle elezioni europee del 2019 nella situazione in cui si è trovata l’Italia con le elezioni del 4 marzo, inducendo i votanti a negare l’utilità di procedere verso l’unione politica» (pag. 9.). In sostanza, il documento firmato da un Ministro del Governo italiano ha come obiettivo quello di evitare il RISCHIO (sic!) che l’Unione europea si ritrovi nelle condizioni politiche che hanno portato ai risultati elettorali del 4 marzo, e alla formazione del successivo governo, del quale l’autore del documento è Ministro.

Ma c’è molto altro di cui meravigliarsi: si legge infatti che «i molti canali che inducono una minore crescita del reddito e dell’occupazione, spingono i paesi chiudersi in un’assurda difesa della sovranità nazionale nella speranza che questa sia la soluzione, come accaduto per la Brexit» (pag. 15): immaginiamo lo stupore che avrà provato uno dei vice-ministri a leggere questa frase in un documento firmato da un suo collega di governo (e non ci riferiamo allo stupore, anche quello giustificato, di leggere una virgola tra soggetto e verbo in un documento ufficiale di un Ministro).

Ma al di là dei motivi di stupore politico, la lettura del documento suscita alcuni motivi di imbarazzo nel lettore per via di veri e propri strafalcioni di grammatica delle istituzioni. A un certo punto si legge, incredibilmente, che l’Italia «recepì anche la direttiva di fiscal compact» (pag. 4): basta leggersi un qualsiasi manuale di diritto dell’Unione europea – non necessariamente nella sua ultima edizione – per sapere che il fiscal compact non solo non è una direttiva, ma non è neppure uno strumento di diritto dell’Unione europea, bensì un Trattato internazionale.

In altro punto ci si lamenta del fatto che nell’UE «il Parlamento è privo di iniziativa legislativa e opera da co-legislatore del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo» (pag. 7), senza nemmeno azzeccare il nome delle Istituzioni il cui funzionamento il documento stesso ambisce a riformare. In altro punto del documento (pag. 3), gli Stati membri diventano 27, anticipando gli esiti di una Brexit la cui strada è decisamente travagliata. Ancora altrove, si individuano gli strumenti per raggiungere gli obiettivi fondamentali dell’Unione nell’elenco riportato da un (inesistente) articolo 3ter del Trattato sull’Unione europea (pag. 6).

Sarà che nel manuale del politico populista lo strafalcione è uno strumento retorico per allontanarsi dal temibile destino di essere inclusi nell’élite?

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