Sistema climatico e giudizio di legittimità costituzionale. L’esempio dell’Ecuador

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di Gianvito Campeggio

La Sentenza della Corte costituzionale dell’Ecuador n. 1149-19-JP/21 è stata salutata come una delle più innovative e complete decisioni giudiziali in materia ambientale e climatica.La sua rilevanza, infatti, va ben oltre la vicenda specifica allegata in giudizio, oggetto di commento anche in Italia (cfr. qui quello di L.A. Nocera), per espandersi sul fronte del necessario inquadramento delle categorie giuridiche climatiche e ambientali alla luce delle definizioni e della lingua delle scienze biofisiche. Si tratta, quindi, di una decisione che permette ai giuristi di prendere dimestichezza con la biofisica, senza la cui conoscenza è impossibile comprendere i fatti oggetto di qualsiasi norma o decisione giuridica nel tempo attuale dell’emergenza climatica e ambientale.

Non a caso, il suo contenuto è contraddistinto dal continuo richiamo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 1992 (UNFCCC), di cui è parte anche l’Ecuador, al fine di constatare la corrispondenza speculare tra lemmi e concetti contenuti nella Costituzione ecuadoriana del 2008, prevalentemente riferiti alla natura come soggetto di diritti, e lemmi e definizioni scientifiche codificate appunto dalla Convenzione ONU, soprattutto nel Preambolo e nei suoi primi tre articoli, riguardanti – com’è noto – il sistema climatico.

Il suo studio diventa, allora, di estremo interesse, ancorché il suo thema decidendum non consista in un vero e proprio “contenzioso climatico”, nei perimetri corrispondenti alle classificazioni dell’UNEP (esposte nel suo Global Climate Litigation Report 2020 Status Review) ovvero un giudizio sul solo problema delle emissioni di gas serra (ma., sul valore riduttivo di questi inquadramenti, cfr. T. Challe, The Rights of Nature. Can an Ecosystem Bear Legal Rights?).

Del resto, la sua lettura ci consegna una verità incontestabile alla luce delle acquisizioni appunto della scienza biofisica: natura e sistema climatico sono la stessa cosa, sicché difendere la natura significa difendere il sistema climatico in tutte le sue componenti e dinamiche e, con esso, i beni vitali (acqua, aria, cibo, suolo ecc…) di tutti gli esseri viventi, incluso l’essere umano. Ne deriva, e la Corte costituzionale lo fa presente, che qualsiasi distinzione tra diritto soggettivo e natura (o ambiente), interessi umani e altri interessi, beni vitali antropocentrici e servizi ecosistemici, singolo e sistema, condizioni soggettive e adespote, definizioni normative e definizioni scientifiche, risulta epistemicamente falso perché prescisso dalle scoperte delle scienze biofisiche sulla realtà effettiva del sistema terrestre e sulle sue interdipendenze. Diventa simile a un argomentare della terra piatta, solo perché lo scrive qualche disposizione normativa nonostante l’evidenza scientifica della sua rotondità.

La Corte costituzionale insiste molto sull’importanza della lingua della scienza per non cadere in queste trappole cognitive. Grazie alla scienza si scopre il funzionamento della natura, ci dice il giudice, e delle sue leggi biofisiche, il cui contenuto fattuale integra il diritto e le spiegazioni degli impatti dei comportamenti umani.

In questo percorso ermeneutico, il giudice ecuadoriano è indubbiamente favorito dall’originalità della Costituzione dell’Ecuador del 2008, unica al mondo a intessere un vocabolario normativo non solo privo di ambiguità sul concetto di natura ma rigoroso sul piano epistemico (cfr., su questo carattere unico del testo dell’Ecuador, M. Carducci et al., Towards an EU Charter of the Fundamental Rights of Nature, spec. 157 ss.). Del resto, come risaputo, quel documento non si limita a parlare genericamente di ambiente, ma utilizza il lemma natura su più fronti di regole e principi, per scandirne:

– la sua identità di soggetto di diritto, il che significa tanto elemento costitutivo di tutte le relazioni giuridiche imbastite dall’azione umana quanto parametro di giudizio di quelle relazioni (in una prospettiva quasi analoga al “principio di integrazione ambientale”, di cui all’art. 11 TFUE: cfr. M. Carducci, L.P. Castillo Amaya, Nature as Grundnorm);

– la sua immanenza nel sistema giuridico per l’effettività dei beni vitali della persona umana (come diritto al mantenimento e alla rigenerazione dei “suoi cicli vitali” che includono anche quelli degli esseri umani);

– il suo “valore intrinseco” rispetto ai soli interessi umani, a differenza del diritto ambientale tradizionale, appiattito sulla tradizione neoclassica dell’economia politica.

Questo ordito pervade l’intero testo costituzionale, ma trova puntuale riscontro almeno nelle seguenti disposizioni, non a caso richiamate dal giudice nel caso in questione:

– art. 71, secondo cui «la natura … ha diritto al pieno rispetto della sua esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, della sua struttura, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi» (tutte le traduzioni sono proposte da chi scrive);

– artt. 84, 85 e 277 n. 1, che impongono il dovere, in capo a tutti i poteri normativi e politici, di non “minacciare” (atentar) quel diritto e di promuoverlo;

– art. 395 n. 4, che inibisce la funzionalizzazione del diritto ai soli interessi umani, dato che «in caso di dubbio in merito alla portata delle disposizioni di legge in materia ambientale, queste saranno applicate nel senso più favorevole alla protezione della natura»;

– art. 414, che estende all’intero sistema climatico il quadro di riferimento dei diritti della natura.

Di fatto, la Costituzione dell’Ecuador identifica la natura nel sistema climatico (sui processi di costituzionalizzazione del sistema climatico nel mondo, si v. ora P. Viola, Climate Constitutionalism Momentum). Si spiega così il parallelismo lessicale, proposto dai Giudici, con la citata Convenzione quadro dell’ONU, il cui art. 2 impone agli Stati di agire per escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico nel rispetto dei tempi sufficienti per permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente a cambiamenti di clima e per garantire che la produzione alimentare non sia minacciata e lo sviluppo economico possa continuare ad un ritmo sostenibile: esattamente come vuole il testo dell’Ecuador.

È proprio questo parallelismo che consente di dare rilievo ai significati del testo normativo alla luce delle scienze biofisiche e questo non perché esse forniscano certezze inespugnabili, ma perché sono le uniche che operano in funzione della salvaguardia della vita in tutte le dimensioni e i cicli che la riguardano.

Alcuni passaggi delle argomentazioni della Corte rendono più chiaro l’ importante costrutto.

«L’idea centrale dei diritti della natura è che essa ha valore in sé … ossia indipendentemente dalla sua utilità per gli esseri umani», si legge nel § 42 della Sentenza. Già la Corte interamericana dei diritti umani, nella sua Opinione consultiva n. 23/17 e nel caso “Lhaka Honhat vs. Argentina” del 6 febbraio 2020, aveva affermato il principio di «proteggere la natura e l’ambiente non solo per il loro legame con un’utilità degli esseri umani o per gli effetti che il loro degrado potrebbe avere su altri diritti degli individui, come la salute, la vita o l’integrità personale, ma anche per la loro importanza per gli altri organismi viventi con cui il pianeta è condiviso, anch’essi meritevoli di protezione in sé». La novità del giudice ecuadoriano investe il fatto di coniugare la «prospettiva sistemica che protegge i processi naturali per il loro stesso valore» (§ 43), con il dovere di produrre e interpretare norme alla luce della conoscenza scientifica di quei processi (§§ 34-36), dalla cui complessa dinamica dipende la vita umana presente e futura (§§ 8 e 241). In tale cornice, il concetto di «ambiente sano ecologicamente equilibrato», previsto dagli artt. 14, 66 e 397, è sottratto alla libera disponibilità dei individui ma anche a quella delle interpretazioni e bilanciamenti costituzionali, indifferenti alle conoscenze scientifiche, per affidare alla scienza la verifica del mantenimento temporale dei “cicli vitali” della natura (§§ 46, 66, 213 e 241) e orientare i principi di precauzione e prevenzione (§§ 8 e 55) in funzione della preservazione.

Il punto finale di questo percorso è l’affermazione del c.d. «principio di tolleranza ecologica», che traduce non solo il concetto normativo di «rigenerazione dei cicli vitali», di cui al citato art. 71, ma soprattutto il divieto, posto dall’art. 73 n. 1 sempre della Costituzione, di «alterazione permanente dei cicli vitali».

Insomma, la “tolleranza ecologica” è il limite esterno alla “alterazione permanente dei cicli vitali”: una sorta di neminem laedere di sistema che tutela l’adattamento, appunto tollerabile, al cambiamento antropogenico (così al § 44), in una conclusione praticamente identica alle scoperte della scienza sui c.d. “Tipping Point”, i punti di svolta irreversibile del sistema climatico che innescano ricadute a cascata di incidenza negativa sulla sopravvivenza anche umana, come tali non superabili perché non tollerabili.

Grazie a questa originale decisione giurisprudenziale, il diritto aggiorna il suo vocabolario di osservazione della complessità naturale in nome di un comune obiettivo di sopravvivenza “tollerabile” di tutta la natura, ovvero del sistema climatico.

È vero che il concetto di “tollerabilità” appartiene anche alle elaborazioni dei formanti del diritto euro-nordamericano: si pensi al concetto statunitense di “public nuisance” o al nostro art. 844 Cod. civ. o ancora all’art. 674 Cod. pen., come interpretato dalla Corte costituzionale.

La differenza, però, risiede nella sua lettura, non più proiettata sulla singolarità degli interessi umani ma sull’intero e complesso sistema naturale, conoscibile e comprensibile attraverso le scienze biofisiche e apprezzabile nella valutazione del tempo dei processi rigenerativi, calcolabili solo da quelle scienze.

È questa l’unica interpretazione giuridicamente e logicamente sensata della natura e quindi del sistema climatico nell’interesse della vita, presente e futura: grazie alla scienza e al diritto che non finge di fronte a essa.

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