Come in passato per altri temi, il giornale vorrebbe promuovere un dibattito in merito al “taglio dei parlamentari”, sul quale saremo invitati a esprimerci con un voto nel referendum confermativo del 20-21 settembre. Camilla Buzzacchi inizia esprimendo le ragioni del NO. Saremmo felici di pubblicare altre opinioni, e in particolare le ragioni del SI, che tra i costituzionalisti appaiono minoritarie.
Per il NO: Buzzacchi, Contini, Leo, Venazoni, Iacovissi, Pisaneschi, Tani, Morelli, Bartole, De Vergottini, Morelli 2, Agolino
Per il SI: Grasso
Per bianca/astensione: Schmit, Palermo
Contributi alla riflessione: Conte, Gigliotti, Cecchinato, Verrigno, Di Cosimo, Morelli, Chessa, Severa, D’Andrea
Purtroppo questo referendum passerà in secondo piano. Avrà rilevanza solo per mere questioni di potere. Si sacrifica, ancora una volta, sull’altare del tornaconto politico un istituto di democrazia diretta. Cio’ è dimostrato dall’ aver associato alle elezioni amministrative il referendum.
Non esiste solo l’alternativa si/no. Si può anche ritenere che entrambe le posizioni sono ugualmente difendibili e che le conseguenze del verdetto popolare sono in entrambi i casi piene di insidie. Se vince il si, vince anche una certa polemica anti-parlamentare, e non solo. Se vince il no, sembra che il popolo sovrano non voglia rinunciare a 945 parlamentari ormai quasi indistinguibili. Entrambe le soluzioni sono insoddisfacenti. La prima perché manca una legge elettorale equa e conforme, più rigorosa di quanto espressamente permesso dalla giurisprudenza suprema (1/2014 e 35/2017) palesemente in contraddizione con gli articoli 48-51 e 67 C. Anzi, non manca una, ma mancano due leggi, ben più cruciali del numero dei parlamentari. La seconda perché il mantenimento del numero rischia di allontanare una revisione complessiva della costituzione (a favore di un parlamento più efficiente e di un governo più autorevole e più stabile) da tempo augurata dalla maggior parte degli attori politici (due revisioni votate in parlamento ma bocciata per referendum) e da numerosi esperti. Formalmente ineccepibile, il referendum sul numero dei parlamentari è un inganno teorico (devia dalle questioni costituzionali che importano) e un errore politico (il si giova quasi esclusivamente ai proponenti pentastellati, il no all’opposizione di destra che tutti hanno promosso nel passato progetti similari). Il popolo sovrano dovrebbe invece poter esprimersi se non sulla legge elettorale stessa, almeno sul rispetto dei principi elettorali (i.e. i diritti politici più fondamentali) sanciti dalla Costituzione, e se non sull’organizzazione funzionale del Parlamento, almeno sull’alternativa fra bicameralismo (reso da una serie di revisioni e dalle leggi elettorali vigenti quasi puramente procedurale, ormai con due camere quasi omogenee e 945 parlamentari quasi indistinguibili) e monocameralismo (il quale non esclude un possibile ruolo autorevole di un Senato solo consultivo, senza poteri decisionali). La celebrazione del referendum sul numero dei parlamentari (da distinguere dalla revisione votata in Parlamento) difficilmente porterà a qualcosa di buono.
Sono per iniziare a tagliare e possibilmente ridurli al minimo e poi sarei per cambiare la legge elettorale in modo che il cittadino possa eleggere colui da cui vuol farsi rappresentare per il programma politico che porta senza “inciuci” da circo e pseudopolitiche di propaganda e di sudditanza alla Germania. Gli italiani devono svegliarsi prima che ci lascino tutti in mutande perché è ormai palese che non c’è un solo articolo della nostra Costituzione che venga concretamente rispettato e promosso a meno che non fai parte di loro. Li dobbiamo battere e con le loro stesse armi.
Poco m’interessano gli argomenti spesso gonfiati o fuorvianti delle due tifoserie rispetto all’analisi concettuale della realtà. A (mia) sorpresa anche Renzi, che comunque ha partecipato da senatore all’approvazine della revisione, evita di prendere posizione in un dibattito su una scelta che come tale sarà inconcludente o insoddisfacente. Il si, infatti, non implica alcuna revisione degna di questo nome ma è soprattutto “uno spot” pubblicitario del M5S, mentre il no rischia di consolidare un parlamento di 945 componenti resi indistinguibili divisi in due camere rese quasi perfettamente omogenee. Il vero obiettivo rimane quindi una revisione seria che si troverebbe, secondo il senatore, davanti all’alternativa fra, da un lato, la conferma del (suo) modello di “sindaco d’Italia” promosso con la doppia riforma del 2015/16, osscioè un presidente del consiglio che trae il suo potere da una legge elettorale ipermaggioritaria a liste bloccate, a maggioranza assicurata e fissa per la durata della legislazione, e dall’altro, un parlamento monocamerale eletto proporzionalmente e un presidente del consiglio rinforzato attraverso lo strumento della sfiducia costruttiva. Ha perfettamente ragione, sulla disvalore della revisione in corso, sull’inutilità del referendum e sulla possibile alternativa fra una riforma seria o in senso ducale (elezione più o meno diretta del capo dell’esecutivo e formazione alla sua immagine di un’assemblea con vincolo di mandato) o in senso parlamentare monocamerale, cioè l’elezione libera (questo il senatore lo tace) e proporzionale (vi insiste) di un’assemblea di rappresentanti senza vincolo di mandato, la quale trova al suo interno un accordo per sostenere un Presidente del consiglio e dei ministri nominati dal Presidente della Repubblica, fino a quando una nuova maggioranza non è in grado di indicare un altro Presidente del consiglio e votare la fiducia al suo governo. Bisogna accogliere questa definizione dei compiti di riforma istituzionale, scegliere risolutamente la seconda opzione e definirla meglio insistendo soprattutto sulla correttezza della normativa elettorale: preferenza individuale in circoscrizioni non troppo grandi, preferibilmente con riparto definitivo nella circoscrzione (modello elvetico e finlandese) piuttosto che riparto nazionale e soglie (artificiali, contradditorie) di sbarramento (modello germanico). A ben vedere (e interpretare i concetti) questa soluzione non è nemmeno incompatible con un sistema uninominale a doppio turno in numerosi collegi (ecco perché il numero dei deputati non è indifferente). Il monocameralismo, infine, non è incompatibile con un Senato depotenziato ma potenzialmente utile, se formato per lo scopo preciso di contribuire alla qualità delle leggi, alla loro coerenza intrinseca, sistemica e nel tempo e alla convergenza con gli altri paesi dell’UE e dell’eurosistema.