Ambiente, biodiversità e ecosistema entrano a far parte dei principi fondamentali della Costituzione: quali sono le implicazioni per l’ordinamento italiano?

di Mariachiara Alberton*

L’8 febbraio 2022 è stato approvato in via definitiva il progetto di legge costituzionale (A.C 3156-B) che modifica, entrando immediatamente in vigore, gli articoli 9 e 41 della Costituzione.

All’art. 9 della Costituzione, dopo il comma sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, si aggiunge un nuovo terzo comma che, da un lato, riconosce tra i principi fondamentali della Repubblica “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”; dall’altro, introduce una riserva di legge statale che disciplini forme e modi di tutela degli animali, nei limiti, però, delle competenze riconosciute alle Regioni a statuto speciale (per esempio in materia di caccia e pesca e di protezione della flora e fauna).

All’art. 41 della costituzione, in materia di esercizio dell’iniziativa economica, si prevede, invece, il vincolo che essa non possa svolgersi “in modo da recare danno alla salute e all’ambiente” (comma 2) e che, altresì, possa essere indirizzata e coordinata “a fini ambientali”, oltre che ai già previsti fini sociali (comma 3).

Le innovazioni apportate da questa revisione costituzionale, peraltro in netto ritardo rispetto alle Costituzioni della maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea (come per esempio la Spagna, il Portogallo, la Germania, la Francia, la Svezia) e senza particolare ambizione rispetto alle esperienze di nuovo costituzionalismo maturate in altri paesi (si pensi all’Ecuador e alla Bolivia, in cui la natura diventa soggetto giuridico e come tale titolare essa stessa di diritti), tentano di rispondere a due questioni tra loro connesse di stringente attualità.

La prima riguarda il ripensamento del rapporto tra uomo e ambiente sotto il profilo deontologico, e cioè il riconoscimento del principio di tutela ambientale come vincolante per i poteri pubblici. La seconda si indirizza alla dimensione assiologica di questo rapporto, e cioè alla posizione occupata da interessi (economici/ambientali), spesso in conflitto, all’interno della scala dei valori dell’ordinamento e al conseguente processo di bilanciamento degli stessi demandato di volta in volta allo Stato o alla Corte costituzionale.

Questi due temi urgenti di riforma sono, mutatis mutandis, anche riflessi nell’attuale riforma istituzionale del Ministero della transizione ecologica che assume, oltre alle funzioni di tutela ambientale, anche le competenze in materia di politica energetica, in attuazione degli obiettivi dell’Unione Europea di “rivoluzione verde” e lotta contro il cambiamento climatico, che mirano alla progressiva e completa decarbonizzazione del sistema entro il 2050.

Se, dunque, il disegno di legge costituzionale approvato colma opportunamente una lacuna della nostra Costituzione e la aggiorna alle istanze contemporanee, tuttavia rischia di non produrre gli effetti desiderati sul piano attuativo. La riforma costituzionale del 2001 che ha interessato il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, prevedendo un catalogo di materie di legislazione esclusiva statale, tra le quali, in particolare “la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (art. 117, comma 2, lettera s), Cost.), a vent’anni di distanza ha mostrato tutti i suoi limiti e ha presentato un costo altissimo per l’ordinamento in termini di contenzioso costituzionale tra Stato, Regioni e Province autonome. L’esercizio concreto delle competenze così come riscritte dal legislatore costituzionale nel 2001 e successivamente interpretate dalla Corte costituzionale ha messo in luce il fallimento di un sistema che attribuisce funzioni rigide in capo a uno o all’altro livello di governo, soprattutto quando queste funzioni si intrecciano e confliggono tra di loro.

La tutela dell’ambiente è diventata negli anni una politica sempre più dinamica, trasversale alle altre politiche pubbliche e necessariamente multilivello, non solo nei rapporti intergovernativi interni all’ordinamento nazionale, ma anche rispetto all’ordinamento comunitario e internazionale.

Un intervento di riforma costituzionale quantomai urgente dovrebbe pertanto indirizzarsi al superamento dell’attuale sistema di ripartizione delle competenze (art 117 Cost.) tra centro e periferia e al raggiungimento di obiettivi e politiche realmente condivise tra livelli di governo, per esempio attraverso il rafforzamento delle sedi di raccordo intergovernative e l’inclusione effettiva delle Regioni e Province autonome nei processi legislativi e amministrativi statali, (oltre che inclusive della società civile), più che alla ridefinizione (necessaria, ma non sufficiente!) dei principi costituzionali. Tali principi costituzionali trovano, infatti, applicazione e si realizzano soltanto attraverso l’esercizio concreto dei poteri pubblici e nella particolare relazione fra centro e periferia che l’ordinamento realizza. Altrimenti, sono destinati ad rimanere ‘lettera morta’ anziché essere ‘cambiamento epocale’. 

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