L’autodichia degli organi costituzionali è a sua volta costituzionale

di Giampiero Buonomo *

L’autodichia degli organi costituzionali è costituzionalmente legittima: lo dichiara la Corte costituzionale con la sentenza 26 settembre-13 dicembre 2017 n. 262. Quella che nella sentenza n. 120/2014 apparve alla Corte una questione controversa, anche perché isolatissima nel panorama comparatistico, ora viene risolta respingendo la contestazione di spettanza avanzata dalla Corte di cassazione tre anni fa.

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Il conflitto di interessi sull’uso del simbolo del M5S: la decisione del tribunale di Genova

di Elena Falletti*

Il 12 gennaio 2018 il Tribunale di Genova ha depositato il decreto di nomina del curatore speciale per la soluzione del conflitto di interessi sorto nel Movimento 5 Stelle a seguito della creazione dell’ultima associazione M5S in vista delle elezioni politiche.

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Leader per leader, il catalogo delle promesse elettorali. Ecco le ultime

Ultime del promessometro. La più importante è di Matteo Renzi che promette: “Mai al governo con Berlusconi, ha gia guidato il Paese e ha fallito”. Berlusconi ci ripensa sul Jobs Act. Di  Maio promette l’abolizione della legge sugli studi di settore, l’abolizione del redditometro e dello spesometro. Salvini si corregge in parte sui vaccini e promette di cancellare la tassa sulle sigarette elettroniche.

Aggiorneremo e completeremo il tabellone che trovate qui sotto nel corso della campagna elettorale.

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Promesse elettorali: e se oltre le fake news ci occupassimo delle fake promises?

di Roberto Bin

La legislatura è finita discutendo di una proposta di legge che persegua le fake news: non si è fatto nulla, per fortuna, poiché il tema è troppo delicato per darlo in pasto ad assemblee parlamentari ormai ridotte ad arene dove falsi gladiatori combattono con falsi leoni. Però qualcosa si dovrebbe fare contro le false promesse elettorali.

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Elezioni 2018: una campagna nel rispetto del galateo elettorale

di Dario de Marchi

Bon ton istituzionale per i candidati alle prossime elezioni. Per tentare di riportare la campagna elettorale ai toni della regolarità, lealtà e correttezza e conseguire il meritato successo, l’Accademia del Cerimoniale (ne fanno parte i principali esperti di protocollo e cerimoniale dei maggiori organismi pubblici) ha redatto il Galateo Elettorale.

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Valutare il benessere: inizia la stagione dell’indicatore equo e sostenibile (BES)?

di Chiara Bergonzini

Qualcuno l’aveva capito molto tempo fa: sul lungo periodo, la rincorsa alla crescita del PIL non può essere l’unico obiettivo economico di un sistema democratico, perché ai fini del suo calcolo rileva – in sintesi – solo la produzione di mercato, senza distinguere se ciò che ha valore per il mercato sia nella realtà utile o dannoso alla vita degli esseri umani, all’ambiente in cui si muovono, alle relative interazioni.

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Seggio o son desto? Il sindaco che si candida alle elezioni politiche rischia…

di Roberto Bin

Il Sindaco di Imola, Daniele Manca, ha annunciato le sue dimissioni, per potersi candidare alle politiche. Ma la legge è precisa: lui, come tutti gli altri sindaci che non si sono dimessi per tempo, sono ineleggibili.

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La sottoscrizione delle liste: una possibile “uscita di sicurezza” a tutela della democrazia

di Salvatore Curreri

Hanno senz’altro ragione Roberto Bin e Gabriele Maestri quando imputano l’attuale situazione in cui versano i radicali – unica forza politica che, pur volendolo, non può di fatto coalizzarsi – rispettivamente ora alla poca chiarezza del dettato legislativo, ora agli effetti discriminatori dell’esenzione dalla raccolta delle firme per i partiti costituiti in gruppi parlamentari (magari all’ultimo minuto, come accaduto al Senato dove il 21 dicembre il gruppo Grandi Autonomie e Libertà, modificando per la sedicesima volta la sua denominazione, ha aggiunto la dicitura Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro, così da esentare l’Udc dalla sottoscrizione delle firme).

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La sottoscrizione delle liste: quello che i partiti non han voluto fare

di Gabriele Maestri
Ho letto con interesse l’articolo di Roberto Bin sul problema delle firme e delle candidature sollevato da Emma Bonino e dalla lista +Europa, tema di cui qui mi ero già occupato sotto Natale.

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Tutte le ragioni del “due process of law”

di Fulvio Cortese

C’è un tema che ha sempre attratto l’attenzione di tutti gli studiosi di diritto pubblico. Si tratta del “giusto procedimento”, uno dei cardini dello stato di diritto. In una sentenza molto nota (n. 13/1962) la Corte costituzionale lo definiva in questi termini:

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La sottoscrizione delle liste: i radicali hanno ragione, ma la colpa è della legge

di Roberto Bin

È scoppiata da poco la questione della raccolta delle firme a cui sono tenuti i partiti che non erano già rappresentati in parlamento e che vogliono aderire ad una coalizione: è la questione sollevata da Emma Bonino, la cui lista, +Europa, avrebbe dovuto entrare nella coalizione di centro-sinistra.

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A Christmas Carol: il mercato si scopre buono (e la Sinistra con un programma politico)

di Roberto Bin

Non è vero che il mercato sia necessariamente senza cuore, naturalmente insensibile ai bisogni della gente – se non per ciò che riguarda i consumi e i consumatori. Anzi, il mercato non è nulla “necessariamente”, non esiste come dimensione naturale. È un’istituzione artificiale, come tutte le altre istituzioni umane, edificata e organizzata da un insieme assai affollato di regole poste dai poteri pubblici (come spiega un libro fondamentale e profetico scritto da K. Polanyi nel 1942: La grande trasformazione). Il problema è: chi detta queste regole?

La storia dell’integrazione europea è esemplare. Ci mostra con chiarezza come viene costruito un mercato – il “mercato interno” – attraverso la produzione incessante di regole. La libertà dei mercati dipende dal diritto: il laissez-faire è solo una distorsione farsesca di ciò che il mercato è e richiede per funzionare a dovere. Per cui è il sistema delle regole che fa del mercato il mercato, e questo sistema può tranquillamente comprendere anche i diritti. Ed è ciò che in parte è successo. Ben prima che l’Atto unico (1987) e i trattati successivi riconoscessero queste competenze alle istituzioni comunitarie, esse avevano varato una quantità di norme, spesso molto avanzate (sicuramente più avanzate della legislazione d’Italia, che infatti ha arrancato con difficoltà per adeguarsi) per assicurare ai cittadini la tutela di diritti ben lontani dal clou della politica di mercato: l’ambiente e la tutela della salute da ogni forma di inquinamento, la protezione della sicurezza dei consumatori, l’assistenza previdenziale e sanitaria dei lavoratori transfrontalieri, la non discriminazione ecc. Progressivamente tutta una serie di beni e di interessi che noi potremmo tranquillamente rubricare come “diritti fondamentali” sono diventati oggetto di accurata disciplina europea. Si noti: non in forza di uno specifico titolo di competenza, ma esclusivamente per regolare la concorrenza e il mercato. Il mercato e la concorrenza – si è pensato – non possono svolgersi a danno della sicurezza dei cittadini e neppure consentendo alle imprese di qualche Stato permissivo di scaricare sulla collettività i costi ambientali e sanitari derivanti dalla produzione; altrettanto intollerabile è sembrato ad un certo punto che la libera circolazione delle imprese si svolgesse a detrimento della sicurezza dei lavoratori e della loro protezione pensionistica. Ecco che per regolare il mercato e per impedire alle imprese di vincere la concorrenza tagliando i “costi” relativi ad alcuni beni collettivi, si è progressivamente riempito lo spazio europeo di regole sempre più incisive.

Perché si siano scelte queste voci di intervento e non si siano inclusi altri diritti da proteggere (per esempio, il livello salariale minimo, la sicurezza del posto di lavoro, la protezione sindacale, l’età della pensione e il relativo trattamento, le misure di tutela della maternità, il livello dei servizi sociali alla famiglia, il livello massimo di prelievo fiscale e così via) è il frutto di una scelta politica ammantata da rispetto per il mercato: non del mercato in sé, che è una costruzione artificiale, ma dell’ideologia dell’economia di mercato. In essa quello che al più interessa – e perciò interessa alle istituzioni europee – è garantire la “libera circolazione dei lavoratori” (a cui vanno assicurati trattamenti previdenziali, assistenziali ecc. equiparati a quelli goduti dai lavoratori del paese in cui si stabiliscono), non uno standard comune di questi trattamenti: e neppure che alle imprese sia impedito di godere dei vantaggi conseguenti alla delocalizzazione dei propri impianti produttivi in paesi dove il trattamento salariale, assistenziale, previdenziale ecc. sia meno favorevole ai lavoratori. È un’esigenza del mercato questa? No, è un interesse egoistico delle imprese, che così possono aumentare i loro ricavi.

Nella visione ideologica, l’economia di mercato è un mondo magico, paradiso delle astrazioni, in cui il consumatore e il produttore si scambiano beni mediante il meccanismo dei prezzi, e il perfetto equilibrio dei salari è prodotto dallo scambio tra domanda e offerta di lavoro. Da questo mondo – dicono i sostenitori del libero mercato – è bene che la politica si tenga fuori, limitandosi a combattere le “esternalità negative” che possono rompere la magia degli scambi, laddove le esternalità sono anzitutto gli interventi delle autorità politiche. Bene quindi se gli organi pubblici intervengono – per esempio – per limitare l’inquinamento causato da processi produttivi o per favorire la completa libertà degli scambi, abbattendo le barriere doganali o le misure legislative nazionali “ad effetto equivalente”; bene se lottano contro i monopoli e obbligano alla privatizzazione dei beni pubblici; bene se definiscono condizioni essenziali di sicurezza – fisica, ma anche giuridica e informativa – dei consumatori. Ma ogni passo più in là compiuto dai poteri pubblici rischierebbe di influire negativamente sull’equilibrio e l’efficienza del sistema. Di quale sistema si parla? Chi l’ha scelto questo sistema? In che modo è possibile cambiarlo?

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