di Andrea Guazzarotti
Sono stati i dazi a costruire la potenza degli USA a partire dalla seconda metà del XIX secolo, e non in modo pacifico:
di Andrea Guazzarotti
Sono stati i dazi a costruire la potenza degli USA a partire dalla seconda metà del XIX secolo, e non in modo pacifico:
di Antonio D’Andrea
Occorre prendere atto, sia pur sconcertati e/o dispiaciuti, di certo non particolarmente sorpresi, di una crisi profonda delle relazioni in senso lato di natura geopolitica tra l’attuale Esecutivo statunitense appena insediato (e destinato a durare per i prossimi quattro anni) e segnatamente altri Governi di Stati europei alcuni dei quali arrivati al capolinea (si voterà in questa settimana in Germania e anche in Francia è oramai chiara la debolezza della maggioranza parlamentare che fa capo a Macron).
Alle drammatiche e grottesche scene dell’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill sta facendo seguito, in queste ore, un dibattito non meno surreale sulla decisione dei social di chiudere gli account di Donald Trump.
Confesso: non avrei commentato i fatti degli Stati Uniti, se non avessi messo per iscritto già in anticipo ciò che penso, approfittando del fatto che questo sito non censura il pensiero sotto la discutibile forma del referaggio. Poiché è troppo facile esprimere delle considerazioni nella fase finale di una vicenda sconvolgente che sembrerebbe una salita sul carro dei vincitori, come faranno (e stanno facendo) in molti.
Aveva ragione Sartori: la forma di governo presidenziale statunitense ha finora funzionato non grazie ma nonostante la sua Costituzione.
Non richiamerò in questa nota i miei studi sul diritto di resistenza (per cui basterebbe citare molte Costituzioni degli Stati della Federazione U.S.A.), né sul tirannicidio, che probabilmente mi sono costati cari in gioventù, ed anche per questo recentemente rieditate; nemmeno varrebbe la mia alta considerazione, dal punto di vista storico, di Robespierre, compresa, per contrappasso, la sua fine fisica, ma anche dei Giacobini, nella formazione dello Stato borghese di diritto, semplicemente poiché l’argomento e il soggetto di cui riferirò non ne sono degni anche se, immagino, quest’ultimo non saprebbe assolutamente di che si discorre.
di Roberto Bin
Prima o poi doveva capitare. Per la prima volta dalla sua vittoria elettorale, l’appoggio di Donald Trump ad un candidato non basta a fargli vincere l’elezione.
di Roberto Bin
In alcuni canti precedenti (in particolare il canto secondo) si era dato conto della triste sorte degli executive order con cui Trump intendeva bloccare l’ingresso negli Stati Uniti a chi proviene da Stati a prevalenza islamica, provvedimenti che si sono incagliati, uno dopo l’altro (vedi anche i canti terzo e quinto), negli scogli della giurisdizione ordinaria.
di Roberto Bin
Tutto il mondo si indigna per l’annuncio di Trump di voler ritirare gli USA dall’Accordo di Parigi sul clima, diventato effettivo dal novembre 2016, pochi giorni prima dell’elezione di Trump, e sottoscritto praticamente da tutti gli Stati del mondo. E allora?
di Roberto Bin
“Great win in Montana!” ha commentato Trump la vittoria del repubblicano Greg Gianforte nelle elezioni per il seggio vacante nella Camera dei Rappresentanti, senza aggiungere parola su ciò che aveva reso famoso Gianforte solo poche ore prima.
di Roberto Bin
Si incomincia a parlare di impeachment per Trump, e già questo è un record. Sono trascorsi da poco i “cento giorni di luna di miele” che tradizionalmente segnano l’avvio del mandato del nuovo presidente, ma che si abbia già tanta voglia di cacciarlo non è affatto normale.
Pubblichiamo, per gentile concessione de Il Sussidiario un intervista a Roberto Bin sull’Europa. L’intervistatore è Federico Ferraù.
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