di Marco Dani e Agustín José Menéndez
Il prossimo 23 Aprile il Consiglio europeo dovrebbe decidere con quali strumenti sarà possibile finanziare la ricostruzione delle economie europee dopo lo shock causato dall’epidemia Covid-19.
A causa del lockdown da oltre un mese la gran parte dei redditi da lavoro e dall’utilizzo di capitale fisso (impianti, macchinari, ecc.) non sono più generati. Lo stesso non può dirsi dei rendimenti derivanti da capitale finanziario e immobiliare, i quali sono generati per effetto del solo trascorrere del tempo. Si dà il caso, però, che i secondi gravano sui primi.
Nel corso della conferenza stampa dello scorso 22 febbraio – quella nella quale il Presidente del Consiglio ha annunciato l’adozione del primo decreto legge contenente misure restrittive per alcune zone del Nord Italia (poi rapidamente estese a tutto il territorio nazionale) – Giuseppe Conte ha utilizzato, proprio in apertura, parole molto chiare circa la motivazione nell’emanazione di un provvedimento così limitativo delle libertà.
Bisogna andarci piano con le parole, perché in un’Unione europea che poggia ancora sul metodo intergovernativo, ciascun governo deve fare i conti con l’opinione pubblica interna e le pressioni delle opposizioni.
Dalla Corte costituzionale proviene una decisione che nell’attale passaggio storico, in cui la materia sanitaria è al centro degli interessi di ognuno e del dibattito scientifico ed istituzionale, assume un significato particolare.
di Marco Betzu* e Pietro Ciarlo**
In un’intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica lo scorso 2 aprile, Giovanni Rezza, dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità e componente dell’ormai noto Comitato tecnico scientifico che opera in supporto al Governo, ha respinto l’idea di un allentamento delle misure restrittive anti-epidemiche diversificato per territori: «la maggior parte delle attività produttive stanno proprio al nord. Che facciamo, lo apriamo dopo perché ha avuto una maggiore diffusione del virus?».
Al tempo del Coronavirus, sembrano lontani i tempi nei quali era necessario richiamare i principi del “diritto del mare” perché un ministro dell’Interno, avvalendosi del cosiddetto decreto sicurezza bis (ora legge), impediva l’entrata nel mare territoriale delle navi delle Ong che soccorrevano migranti. Ora sembra di essere tornati allo stesso punto.
Parlare di fonti del diritto in un contesto così drammatico come quello della reazione normativa e provvedimentale contro l’epidemia di COVID-19 può sembrare ozioso o addirittura irritante.
Le restrizioni imposte a diverse libertà in nome dell’emergenza covid-19 sono eccessive e spesso del tutto ingiustificate? Il principio guida è che le limitazioni ai diritti fondamentali siano giustificate se tutelano altri beni di rango costituzionale (o comunque interessi meritevoli di tutela).
di Marco Dani* e Agustin Menéndez**
Se non ora quando? Questo devono essersi chiesti tanti sinceri europeisti all’inizio del negoziato iniziato in seno all’Eurogruppo e al Consiglio europeo di fronte al propagarsi dell’epidemia Covid 19 e al manifestarsi delle sue drammatiche conseguenze economiche.
Nel capitolo intitolato “La sindrome cinese” del già ben noto ampio saggio su Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, si osserva come il governo cinese stia sviluppando un sistema di “credito sociale” destinato ad essere il “nucleo” del suo approccio ad internet. L’idea è di fare leva sull’esplosione dei dati personali per “migliorare” il comportamento dei cittadini.
di Benedetto Ponti*
E’ notizia di questi ultimi giorni che tra le misure adottate per contenere la diffusione del coronavirus, v’è anche l’istituzione – presso la Presidenza del Consiglio – di una “Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19”.
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