Si fa o non si fa il “buco” in Val di Susa?

di Antonio D’Andrea

Ma davvero si pensava e si pensa che si potesse e si possa governare il Paese, sottoscrivendo dinanzi ad un compiacente notaio (nel senso di professionista privato), un “contratto politico” tra due leader sicuri, in quanto elevati al rango di “capi partito” come richiesto da esplicita previsione legislativa, di potere sempre e comunque contare sul sostegno delle rispettive “truppe” parlamentari, considerate, in verità con qualche ragione, alla stregua di una ubbidiente fanteria d’assalto?

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Contratto di governo, intese con le regioni e altri modi per emarginare il Parlamento

di Glauco Nori

Sembra che sia un momento buono per il contratto e per quello che gli assomiglia. Almeno a parole, regolerebbe anche l’azione del governo attuale. Nemmeno chi lo fa valere può pensare che rientri nella sfera dell’art.1321 c.c.; alla figura del contratto tutto lascia presumere che si sia fatto ricorso per mettere fuori discussione le obbligazioni che ne deriverebbero, da eseguire in ogni caso.

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Chi guiderà il governo presieduto dal professor Conte?

di Giovanni Di Cosimo

All’indomani delle elezioni del marzo scorso, non era affatto scontato che si trovasse una maggioranza disposta a sostenere il Governo. E invece sta per nascere il Governo Conte. Salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe essere scongiurato lo scenario più catastrofico, quello dello scioglimento anticipato delle Camere a legislatura appena cominciata.

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Il “contratto di governo”: quando la retorica politica supera diritto pubblico e diritto civile

di Valeriana Forlenza*

La versione definitiva del “contratto di governo” fra M5S e Lega ha ottenuto il lasciapassare da parte degli iscritti del movimento a seguito della consultazione lanciata sulla piattaforma digitale Rousseau. All’indomani dell’accordo il leader Di Maio si affrettava a dichiarare “Non è un’alleanza” – pena altrimenti la lettera scarlatta “I” – “ma un contratto di governo”.

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Mandato parlamentare alla portoghese? Il “contratto di governo” non è chiaro

di Alessandro Morelli

 Il “contratto di governo” è ormai quasi concluso. La bozza del 15 maggio consta di ben 29 punti, alcuni dei quali, come si legge nel testo, bisognosi di “un ulteriore vaglio in sede contrattuale”, altri di “un vaglio politico primario”, mentre altri ancora sarebbero “in corso di approfondimento”. Tra i punti più interessanti troviamo l’introduzione di un “vincolo di mandato popolare” (punto 19), che, com’è noto, è uno dei cavalli di battaglia del M5s.

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“Contratto di governo”: una riflessione sulle nuove parole del diritto pubblico

di Omar Chessa*
Un tempo i governi nascevano da un “accordo di coalizione”. In questi giorni, invece, si predilige la formula “contratto di governo”. Cos’è successo? Nulla di importante – potrebbe rispondersi – perché la sostanza rimane la stessa. Ma le parole non sono mai neutrali. E l’uso del termine “contratto” per significare quello che un tempo era chiamato “accordo” o “compromesso” nasconde un grumo, forse inconfessabile, di paure e pregiudizi che vanno oltre la dimensione psicologica, per riguardare anche quella politico-costituzionale. Non c’è dubbio che oltre venti anni di “regolarità maggioritaria” abbiano lasciato un segno nella coscienza collettiva e nel senso comune. Mentre Hans Kelsen, uno dei principali teorici novecenteschi della democrazia parlamentare, celebrava il «compromesso parlamentare» tra partiti diversi quale fattore di neutralizzazione del conflitto politico-sociale e garanzia di qualità della legislazione, invece l’abbandono in Italia del sistema proporzionale puro all’inizio degli anni Novanta si accompagnò a un mutamento di paradigma nella percezione diffusa degli accordi parlamentari post-elettorali, ai quali dovrebbero sempre preferirsi – così vuole il senso comune che egemonizza il dibattito pubblico – gli accordi pre-elettorali, direttamente premiabili o sanzionabili dagli elettori col voto. E fu così che il compromesso parlamentare iniziò a essere chiamato, con intento palesemente spregiativo, “inciucio”.

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Il “contratto di governo” e il rischio di una grave crisi costituzionale

di Roberto Bin

Sarà pure, quello pubblicato dall’Huffington Post, un testo superato, in corso di perfezionamento (alcuni capitoli sono ancora completamente vuoti, altri hanno un doppio testo…), ma il “Contratto per il Governo di cambiamento” è una lettura piuttosto penosa. Davvero si può credere che il fior fiore dei due partiti abbia passato tanti giorni in conclave per partorire questo criceto?

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Il “contratto di governo”: le procedure vengono prima dei contenuti

di Roberto Bin
Se davvero, come mi ero augurato (vedi da ultimo l’articolo del 23 aprile), si apre uno spiraglio per la stesura di un “contratto di governo” tra M5S e il PD, mi sembra necessario partire anzitutto da alcune regole di procedura, prima ancora di iniziare a delineare i punti programmatici attorno ai quali stendere il contratto.

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Contratto di governo: un passo avanti!

di Roberto Bin

Mentre l’attenzione della stampa era concentrata sugli esiti delle votazioni nel nostro Ohio, cioè il Molise, il comitato messo in piedi dal professor Giacinto Della Cananea, per incarico di Di Maio, ha reso disponibile la sua relazione. L’incarico era di studiare se nei programmi delle forze politiche affiorino convergenze tali da permettere l’elaborazione di un’agenda condivisa per il governo del Paese, e quali ne possano essere i contenuti.

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Di Maio ha ragione: il “contratto di governo” è la via giusta

di Roberto Bin

In precedenti contributi in questo giornale (del 5 e del 7 marzo) avevo ipotizzato che l’unica seria via d’uscita dalla crisi sarebbe stato un accordo di governo tra M5S e il PD, sottolineando due volte la differenza fondamentale tra un’alleanza e un accordo: la prima rappresenta un patto su un programma politico ampio e stabile, con cui ci si presenta agli elettori, il secondo un contratto in cui i contraenti convergono su questioni di comune interesse.

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