Il “taglio” dei parlamentari. Quando si confondono politiche fiscali e riforme istituzionali

di Alessandro Gigliotti

È da accogliere con grande favore l’iniziativa assunta dalla redazione de laCostituzione.info di avviare un dibattito in merito all’imminente referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari – il cosiddetto “taglio dei parlamentari” –, tema sinora eccessivamente trascurato.

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Il taglio dei parlamentari: fin dove può arrivare l’ottimismo della volontà?

di Alessandro Morelli

Diversi autorevoli sostenitori del SÌ ritengono che il drastico taglio del numero dei parlamentari sia un’occasione che andrebbe colta per rilanciare il ruolo e l’autorevolezza del Parlamento e persino per orientare il dibattito pubblico sul ripensamento del bicameralismo perfetto, i cui problemi da tempo si è tentato di risolvere, senza successo, con vari progetti di riforma.

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La Costituzione terra di nessuno– Più di una ragione per il No

di Claudio Tani

Era un’epoca in cui “ci si sbracciava per gente dappoco e non si faceva attenzione a uomini di valore; succedeva che degli stupidi fossero considerati capi, e dei grandi ingegni nient’altro che originali”, “uomini che prima erano soltanto a capo di piccole sètte sono ora riconosciute celebrità”. Così rifletteva Ulrich (R. Musil, L’uomo senza qualità, ed. Torino, 1996, 60).

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Qualità della democrazia rappresentativa e riduzione del numero dei parlamentari: davvero un ossimoro costituzionale?

di Giorgio Grasso

Tra gli argomenti ricorrenti, richiamati per opporsi alla revisione costituzionale approvata dal Parlamento nell’autunno del 2019 e su cui i cittadini italiani saranno finalmente chiamati a pronunciarsi il 20 e 21 settembre 2020, dopo lo slittamento del voto del 29 marzo 2020 determinato dall’emergenza del Covid-19, si sostiene che la riduzione assai consistente del numero dei parlamentari alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, che il testo prevede…

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Taglio dei parlamentari, SI o NO? Per promuovere un dibattito

Come in passato per altri temi, il giornale vorrebbe promuovere un dibattito in merito al “taglio dei parlamentari”, sul quale saremo invitati a esprimerci con un voto nel referendum confermativo del 20-21 settembre. Camilla Buzzacchi inizia esprimendo le ragioni del NO. Saremmo felici di pubblicare altre opinioni, e in particolare le ragioni del SI, che tra i costituzionalisti appaiono minoritarie.

Per il NO: BuzzacchiContini, Leo, Venazoni, Iacovissi, Pisaneschi, Tani, Morelli, Bartole, De Vergottini, Morelli 2, Agolino

Per il SI: Grasso 

Per bianca/astensione: Schmit, Palermo

Contributi alla riflessione: Conte, Gigliotti, Cecchinato, Verrigno, Di Cosimo, Morelli, Chessa, Severa, D’Andrea

Taglio dei Senatori: chi perde (la Basilicata) e chi guadagna (la Valle d’Aosta) in termini di rappresentanza

di Francesco Conte

Il taglio dei parlamentari non è uguale per tutti. Almeno non in Senato. La riforma, infatti, comporterà alcune distorsioni (o, se vogliamo, correggerà alcune distorsioni già esistenti) nel rapporto tra popolazioni regionali e senatori che ne sono espressione. Se, infatti, per la Camera dei Deputati il taglio è pressoché “lineare” e identico per tutte le circoscrizioni, in Senato non sarà così.

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Ancora un intervento per il “NO”

di Vincenzo Iacovissi

Ho aderito all’appello dei costituzionalisti per il No al referendum. L’ho fatto come studioso e appassionato del diritto costituzionale italiano e comparato. Ho deciso di schierarmi anche in questa veste per amore di verità rispetto alle diverse inesattezze tecniche pronunciate da alcuni promotori del Si.

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Contro la retorica delle ‘riforme’ epocali

di Andrea Venanzoni

 A rilegger oggi le pagine di un agile librino di Ugo Mattei, apparso nel 2013 per i tipi di Einaudi, Contro riforme, alla luce dell’incombente referendum costituzionale settembrino, inopinatamente accorpato al voto regionale, verrebbe da dire che il ‘riformismo’ alla italiana si sta ormai avvitando in una crisi, accelerata e sempre meno meditata, che porta alla coazione a voler sfornare progetti, più o meno venduti alla opinione pubblica come epocali, senza pensare però di voler suscitare il men che minimo dibattito nella opinione pubblica.

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La riduzione del numero dei parlamentari: tra fedeltà e realtà

di Luana Leo

Il 20 e il 21 settembre gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere se consolidare o meno la riduzione del numero dei parlamentari e di conseguenza porre fine ad una delle riforme costituzionali più travagliate di sempre. Una riforma costituzionale che punta sulla revisione puntuale, confinando così la prospettiva dalle “ampie vedute” che, pur essendo caratterizzata da un’elevata aspettativa, risulta poco credile agli occhi della gente comune.

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Riduzione dei Parlamentari: cause ed effetti di una pseudo-riforma

di Francesco Contini (22.08.20)

La Corte Costituzionale ha dato il via libera: il 20 e 21 settembre si voterà anche per il taglio dei parlamentari.  La scelta è semplice: vogliamo o no ridurre i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200?

La reazione immediata è ovvia: sì, assolutamente sì. 
La risposta è così banale che il tema sembra quasi scomparso dalla cronaca politica e, ne sono certo, ad oggi in pochi sono a conoscenza dell’esistenza di questo referendum.
Oltre l’apparente semplicità e il risultato ormai dato da tutti per scontato, questo voto nasconde insidie rivelatrici dello stato di salute della nostra democrazia rappresentativa e, più in generale, della concezione che abbiamo della Politica. 
Procediamo scientificamente: quali sono le cause del taglio dei parlamentari, quali gli effetti?
Punto primo: cause. 
Nei disegni di legge presentati alle Camere e nelle dichiarazioni politiche dei sostenitori della riforma sono due gli argomenti principali addotti a sostegno della tesi: modernizzazione delle Istituzioni e risparmio di soldi pubblici. 
Il concetto di modernizzazione, ormai da un decennio centrale nella vita politica, si è dimostrato una lama a doppio taglio. 
Nel panorama ideologico grillino, oltre le ondivaghe posizioni su doppio mandato-Tap-Tav-Europa, un solo punto è rimasto fermo negli ultimi anni: la fede nella democrazia digitale, il convincimento che, come affermato da Casaleggio, “un giorno potremo non avere più un Parlamento”.
È questo, allora, che si cela dietro la “modernizzazione”? È una volontà punitiva nei confronti della democrazia rappresentativa la vera ragione di questa riforma?  
Se così fosse, si perseguirebbe un risultato potenzialmente giusto, l’efficientamento del sistema, spinti da motivazioni a mio parere profondamente errate. 
La democrazia rappresentativa, eredità delle grandi rivoluzioni liberali, fondata sulla centralità del Parlamento, è un valore da difendere nel modo più assoluto, contro ogni tentazione populistica. L’idea di sostituire il Parlamento con una piattaforma Rousseau accessibile a tutti, in cui i cittadini, votando, scelgano direttamente, senza politici e partiti, è non solo sbagliata, ma pericolosa. 
Già Weber, nel secolo scorso, riflettendo su questa eventualità, ne evidenziava i limiti. Il popolo esprimendosi direttamente può dire “Ja order Nein”, “Sì o no”.
Come è compatibile tutto ciò con scelte complesse che necessitano inevitabilmente di una discussione politica?  L’avversione nei confronti dei partiti che animano lo scenario odierno non può portarci a distruggere la Politica, Arte nobile che nel confronto trova la sua ragion d’essere.

Il secondo argomento addotto a sostegno del taglio è il risparmio di spesa.
Meno parlamentari, meno stipendi da pagare, meno soldi spesi. 
Il risentimento per una classe politica i cui scandali sono all’ordine del giorno non potrà che determinare una scelta emotiva e passionale.
Anche in questo caso, però, una analisi approfondita della questione inviterebbe alla prudenza. 
Basta volgere lo sguardo alla storia recente. L’abolizione dei consigli provinciali direttamente eletti ha comportato un risparmio di 72 milioni di euro. D’altra parte, però, sono state spese centinaia di milioni per il trasferimento di risorse umane e materiali da province a regioni e, in più, si sono accumulati ritardi nelle azioni amministrative. Si pensi alle condizioni sempre più fatiscenti di strade e scuole secondarie.
Non sempre da un risparmio nel breve termine deriva un risparmio anche nel medio-lungo periodo. Ciò premesso, ritengo fin troppo semplicistico ridurre una riforma della Costituzione a una questione di pochi milioni (57 ogni anno per la precisione, pari allo 0,007% della spesa pubblica, come dimostrato dall’Osservatorio Conti Pubblici diretto da Cottarelli).

Punto secondo: effetti.
La possibile conseguenza più evidente sarà la riduzione del numero dei partiti in Parlamento, causa estinzione dei più piccoli.
Ogni collegio avrà la possibilità di eleggere meno parlamentari, da ciò potrebbe derivare una rappresentanza quasi azzerata per le forze minori, specialmente nei collegi più ristretti.
I sostenitori della riforma ritengono questo un effetto estremamente positivo: un sistema tendente al bipartitismo garantisce, nella maggior parte dei casi, una maggiore stabilità dell’esecutivo.
Dubito fortemente che le cose andranno così. I gruppi parlamentari che fungono da ago della bilancia per questo o quel governo, nella maggior parte dei casi, nascono dopo le elezioni, con scissioni ormai all’ordine del giorno. Non vedo come questo rischio possa essere evitato con una riduzione numerica non accompagnata da alcuna riforma strutturale della Costituzione o dei regolamenti parlamentari. 
Altra conseguenza quasi certa è il rafforzamento delle segreterie di partito nella scelta dei candidati, determinando un ulteriore colpo al sistema, già in crisi, delle autonomie. Preferiamo o no assecondare queste tendenze neo-centraliste?
Ultimo dubbio, a cui solo il futuro e la nuova legge elettorale potranno rispondere: 
la non omogeneità del taglio (Umbria e Basilicata perdono il 60% dei seggi a fronte di una media nazionale del 36,5%) e i collegi più grandi incideranno negativamente sulla logica fiduciaria rappresentante-rappresentato?

Quella che ci apprestiamo a vivere si prospetta come una delle campagne referendarie meno discusse di sempre. Quasi la totalità dei partiti, infatti, si dichiara favorevole.
Risultato: i parlamentari saranno ridotti (il che non è un male in sé), i problemi strutturali rimarranno (il che un male lo è di certo).  
Il regionalismo, il superamento del bicameralismo perfetto, la velocizzazione dell’iter legislativo, la centralità del Parlamento stesso (ogni anno sono approvate solo l’1,36% delle leggi di iniziativa parlamentare contro il 68,69% dei disegni di legge del governo): tutti nodi non sciolti, questioni rimandate a data da destinarsi.
Cambiare tutto perché tutto rimanga com’è: l’Italia gattopardesca rimane, ancora una volta, fedele a se stessa. 

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